
TEVEROLA. È ripreso presso il tribunale di Napoli Nord, sezione distaccata di Aversa, il procedimento giudiziario che vede coinvolti Antonio Barbato, Carmine Lucca, Antonio Chiacchio e Antonio Palumbo, accusati di aver operato sotto l’influenza delle famigerate consorterie camorristiche dei Belforte e dei Bidognetti, entrambi rami del noto sodalizio criminale dei Casalesi.
I quattro erano già stati arrestati nell’ambito del blitz del novembre 2022, che aveva assestato un colpo significativo alle dinamiche estorsive nella zona, smascherando una fitta rete di minacce e soprusi ai danni di imprenditori locali.
A causa della competenza territoriale, il processo non si tiene nella sede abituale destinata ai maxi-processi, ma ad Aversa. Tra i legali che difendono gli imputati figurano Giovanni e Michele Cantelli.
Nel corso dell’ultima udienza, ha preso la parola un testimone della difesa, che porta lo stesso nome di uno degli imputati, Carmine Lucca, e che risulta essere anche suo parente. L’uomo ha raccontato in aula di una conoscenza pregressa tra Lucca e il commerciante che avrebbe subito i soprusi, sottolineando che i rapporti tra i due sarebbero stati di natura “cordiale”.
Secondo le ricostruzioni dell’accusa, Barbato e Lucca avrebbero abusato della propria fama criminale per ottenere beni alimentari da un minimarket di Teverola, rifiutandosi di saldare i conti per diversi mesi. Il comportamento sarebbe stato sostenuto da un clima di intimidazione, alimentato dalla loro reputazione di affiliati alla camorra, e si sarebbe protratto tra il 2018 e il 2019.
In un altro episodio emerso nelle indagini, un uomo identificato come Improda avrebbe rivolto minacce allo stesso commerciante per ottenere un pagamento di 1.500 euro, arrivando persino a trattenere l’autovettura del figlio della vittima come forma di pressione.
Ma le intimidazioni non finivano qui. Gli imputati, secondo gli inquirenti, avrebbero anche costretto i negozianti ad acquistare prodotti pubblicitari a prezzi gonfiati, oltre a pretendere denaro con la scusa di dover fare “omaggi” a membri del clan detenuti. Tutte richieste fondate sul terrore indotto dalla loro presunta appartenenza al mondo criminale