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Nipote del boss resta “pericoloso” anche dopo trasferimento a Tenerife

CASAPESENNA. La Corte di Cassazione ha confermato la pericolosità sociale di Filippo Capaldo, nipote del boss dei Casalesi Michele Zagaria. La decisione è stata presa dalla settima sezione della Suprema Corte, respingendo il ricorso presentato dai legali di Capaldo contro la pronuncia della Corte di Appello di Napoli.

Il 47enne, imparentato con il noto boss catturato quest’ultimo nel dicembre 2011, aveva contestato la sentenza dell’ottava sezione misure di prevenzione della Corte d’Appello, presieduta da Roberto Donatiello. I giudici avevano stabilito che, sebbene non fosse più un membro attivo del clan, continuava a vivere grazie ai proventi illeciti accumulati durante la sua precedente appartenenza alla cosca.

La Corte d’Appello aveva parzialmente modificato una precedente decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che lo aveva dichiarato portatore di pericolosità sociale qualificata, riconoscendogli invece una pericolosità generica. Tuttavia, aveva confermato la misura della sorveglianza speciale per tre anni con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.

L’assoluzione e il trasferimento a Tenerife

Nel settembre 2023, il GUP del Tribunale di Napoli aveva assolto Capaldo dalle accuse di mafia o di reati aggravati dal metodo mafioso. Dopo essere stato scarcerato nel 2021, si era trasferito con la famiglia a Tenerife, dove aveva avviato un’attività commerciale, sostenendo così di aver voltato pagina rispetto al passato.

Tuttavia, la Corte d’Appello ha sottolineato che, pur non risultando più affiliato al clan dal 2015, Capaldo ha continuato a utilizzare i beni mobili e immobili accumulati grazie alla sua precedente attività criminale per sostenere sé stesso e la sua famiglia. Questo ha portato i giudici a confermare la sua pericolosità sociale generica.

Il ricorso respinto dalla Cassazione

I legali di Capaldo avevano presentato ricorso alla Cassazione sostenendo che la pericolosità generica fosse stata dichiarata senza adeguata contestazione e contestando l’applicazione e la durata della misura di prevenzione.

La Suprema Corte ha però rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito che nel procedimento di prevenzione non si verifica alcuna violazione del principio di correlazione tra contestazione e decisione. Inoltre, hanno precisato che il ricorso puntava a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Di conseguenza, la decisione della Corte d’Appello è stata confermata.