Skip to main content

Zio nipote uccisi nella guerra di camorra, 2 ergastoli

 

CASAL DI PRINCIPE. La Corte di Cassazione ha reso definitiva la condanna al carcere a vita per Aniello Bidognetti, figlio del boss noto come Cicciotto ’e Mezzanotte, e Sebastiano Panaro, ritenuti colpevoli dell’assassinio di Ubaldo Scamperti e del giovane Maurizio Scamperti, suo nipote. I delitti risalgono al 7 agosto 1995 e si sono consumati a Casal di Principe.

La decisione della Prima Sezione Penale della Cassazione, presieduta da Giuseppe Santalucia, ha rigettato i ricorsi presentati dalle difese dei due imputati contro la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Napoli, confermando quanto già stabilito in precedenza dalla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere: ergastolo per entrambi per concorso nell’omicidio.

La Suprema Corte ha tuttavia disposto un parziale annullamento con rinvio per alcuni capi secondari del processo: la Corte d’Appello ha dichiarato il non luogo a procedere per Panaro in relazione ai reati di detenzione illegale di armi e soppressione di cadavere, ormai prescritti. È stata inoltre modificata la pena accessoria dell’isolamento diurno, che per Panaro è stata ridotta a sei mesi.

Due esecuzioni in un solo giorno

Il 7 agosto 1995, Ubaldo Scamperti, soprannominato “Pagliuccone”, fu assassinato a colpi di pistola all’interno di un cantiere a Bellona, nell’impresa Edilnuova. Poche ore dopo, scomparve il nipote Maurizio, che solo una settimana più tardi venne ritrovato privo di vita e in stato avanzato di decomposizione all’interno di una vasca di depurazione nel complesso dei Regi Lagni, a Villa Literno.

Dietro questi due omicidi si cela una lunga scia di vendette e alleanze infrante. Antonio Scamperti, fratello di Ubaldo e padre di Maurizio, era stato ucciso nel 1979 dai Casalesi. Ubaldo, evaso dal carcere, aveva preso le distanze dai Casalesi, schierandosi con i rivali del clan Nuvoletta, da lui ritenuti più vicini agli assassini del fratello.

Il tradimento e la trappola

Con l’intento di disinnescare la minaccia rappresentata da Ubaldo, i vertici del clan dei Casalesi, tramite Aniello Bidognetti e Sebastiano Panaro, cercarono di guadagnarsi la sua fiducia offrendogli uno stipendio mensile e un appartamento. Anche Maurizio fu arruolato e stipendiato, secondo gli inquirenti, da Luigi Diana, uomo vicino al clan. Ma quella disponibilità economica era solo una strategia: Ubaldo era ritenuto un elemento ingestibile e pericoloso, e il legame affettivo tra zio e nipote rafforzava l’ipotesi che entrambi potessero diventare nemici.

Fu così messa in atto l’eliminazione di entrambi: un commando si occupò dell’agguato nel cantiere, mentre un altro gruppo, guidato da Bidognetti, si occupò di Maurizio, che fu strangolato, poi finito con un colpo d’arma da fuoco e infine abbandonato nei pressi di una masseria appartenente a Luigi Bifulco.

Le responsabilità dei due imputati sono emerse grazie alle testimonianze di diversi collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni, secondo i giudici, sono risultate coerenti, convergenti e attendibili. La difesa aveva contestato l’attendibilità di questi racconti, ma la Cassazione ha respinto ogni obiezione, ritenendo solida la ricostruzione del movente e delle responsabilità.

Un click e sei sempre informato! Iscriviti al nostro canale WhatsApp per ricevere le news più importanti. Premi qui ed entra!