Il tarì è una delle più celebri monete medievali, coniata nel Sud Italia almeno a partire dalla dominazione araba in Sicilia, intorno al 913 d. C. Infatti, Il termine “tarì”, deriva dal latino “tarenus”, a sua volta derivato dall’arabo “tarī”, che significa “fresco di conio”.
Gli arabi siciliani coniarono una grande quantità di tarì intorno all’anno 1000, ma il successo arriso alla moneta si deve soprattutto ad Amalfi.
Il tarì d’oro è stata la moneta ufficiale dell’antica Repubblica marinara di Amalfi, simbolo del potere della nobile città costiera. Il tarì fu la moneta comunemente utilizzata durante gli scambi commerciali della Repubblica ed è ritenuta la prima moneta d’oro coniata nel mondo occidentale dopo la dissoluzione dell’Impero Romano.
Il tarì amalfitano aveva un peso di 0.96 g. Al dritto, la moneta presenta la croce di San Andrea e una serie di caratteri cufici, tipici delle monete islamiche, utilizzati fino al XII secolo, seguiti da un piccolo globo centrale; al rovescio, una nuova serie di caratteri cufici, il solito globetto centrale e la scritta “Non vi è altro Dio che Dio, Maometto è il Legato di Dio ed Aly l’amico di Dio”.
Anche dopo la conquista normanna e la nascita della Contea di Sicilia (1061) il tarì continuò ad essere coniato. I re normanni, da Roberto il Guiscardo a Ruggero II, che elevò la Contea a Regno di Sicilia (1130), mantennero tale monetazione. A Ruggero si deve la prima introduzione di sigle cristiane, e non più arabe, all’interno delle monete.
Nel 1220, Federico II di Svevia chiuse la zecca di Amalfi, ma questo non decretò la fine del tarì: la moneta continuò ad essere battuta sotto il suo regno. Con Carlo d’Angiò, alla fine del XIII secolo, la moneta cessò di essere coniata, per essere poi reintrodotta da Ferdinando II d’Aragona (1452 – 1516).
La fine di questa moneta arrivò con la dissoluzione del Regno delle Due Sicilie: l’ultimo a coniare il tarì fu re Francesco II di Borbone, che emise la moneta nel solo anno 1859, prima di lasciare Napoli per l’esilio con l’arrivo di Giuseppe Garibaldi.
Si chiude così una storia millenaria, quella del tarì, una moneta in grado di abbracciare popoli, dinastie, nazioni ed etnie anche assai diverse tra loro.
Oggi, il valore di questa moneta è oscillante: ad esempio, un esemplare d’oro coniato sotto il regno di Ruggero II (1121 – 1130) può valere 1.800,00 euro.