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Meccanico ucciso mentre guarda Juve in tv, il verdetto per 3 del clan

 

 

 

MARCIANISE. E’ stato emesso il verdetto per l’omicidio di Raffaele Paolella, “o’ meccanico”, ucciso nella serata del 10 aprile 1991 mentre guardava la Juve in tv in un circolo di Marcianise. Il tribunale ha inflitto 12 anni ciascuno a Antonio Letizia “Fifì” e al boss Salvatore Belforte e 16 anni a Musone. Nel collegio difensivo gli avvocati Angelo Raucci e Salvatore Piccolo.

 

I fatti risalgono alla tarda serata del 10 aprile 1991, allorquando la vittima, a sua volta esponente del clan rivale “Piccolo”, è stato oggetto di un agguato realizzato all’interno di un circolo ricreativo di Marcianise nel mentre, con altri avventori, stava guardando la semifinale di “Coppa delle coppe” Juve-Barcellona. Nella circostanza, due persone con volto coperto da una calza scura di nylon, giunte con una macchina, hanno fatto ingresso nel locale e, nel panico generale, una di esse ha esploso contro il Paolella 5 colpi di fucile cal. 12, caricato a pallettoni, prima al corpo e poi alla testa, uccidendolo sul colpo. Alcuni giorni dopo sarebbe stata rinvenuta la carcassa data alle fiamme della macchina utilizzata per l’agguato, risultata rubata, con all’interno i resti bruciati del fucile impiegato per sparare, un Benelli calibro 12 a canne mozze.

Fin da subito le indagini sono state orientate verso il clan rivale, per quanto ci siano stati tentativi di sviamento, quali una telefonata effettuata alla redazione di un noto giornale, da un anonimo con marcato accento sardo, che attribuiva ai “Nuovi Nuclei Armati Casertani” l’esecuzione dell’omicidio, quale atto di punizione “per chi aiuti l’infame quacquerone”.

Solo negli ultimi anni, tuttavia, c’è stata la svolta: le indagini che hanno portato all’emissione del provvedimento cautelare nei confronti di Belforte, forti anche delle dichiarazioni di importanti collaboratori di giustizia, hanno consentito agli investigatori casertani di inquadrare il fatto nell’ambito della sanguinosa faida che, tra la metà degli anni ’80 e i primi anni del 2000, ha visto contrapporsi il clan “Belforte” e il clan “Piccolo” per il predominio criminale nel territorio di Marcianise e dei comuni limitrofi.

Un ruolo di primo piano nel delitto è stato svolto da Salvatore Belforte, fratello di Domenico, non attinto dal provvedimento cautelare poiché fonte di importanti dichiarazioni sul fatto, anche autoaccusatorie, rese in qualità di collaboratore di giustizia. Salvatore Belforte, infatti, è stato sia l’ideatore che l’esecutore materiale del delitto, deciso per vendicare l’eliminazione del “belfortiano” Giovanni Ruocchio, avvenuta nel gennaio dell’87 ad opera del clan “Piccolo”; del commando omicida aveva fatto parte anche Raffaele Paolella, con funzioni di “specchiettista”. Tuttavia, i propositi di vendetta hanno subito una battuta d’arresto a causa del fatto che, poco dopo, Salvatore Belforte è stato arrestato. Rimasto in carcere fino al dicembre del 1990, ha ripreso la pianificazione del delitto per poi procedere anche personalmente alla relativa esecuzione.

È stato lui, infatti, che ha materialmente imbracciato il fucile che ha fatto fuoco sulla vittima mentre Antonio Letizia, armato di una pistola, l’accompagnava nel circolo ricreativo con il compito di “tenere a bada” eventuali avventori. Vittorio Musone, invece, era l’autista: è stato lui, infatti, che ha guidato la macchina che ha accompagnato i due killers sul posto e li ha attesi all’esterno, nel mentre veniva consumato il delitto, per poi darsi alla fuga una volta usciti dal locale e saliti a bordo.