Skip to main content

Pizzo per il clan, 4 rischiano la stangata. I NOMI

 

SAN MARCELLINO/CESA/CANCELLO ARNONE/TEVEROLA. Sarebbero stati tra i protagonisti di un sistema estorsivo che, secondo gli inquirenti, agiva nel nome e per conto del clan dei Casalesi. Per loro, il pubblico ministero Vincenzo Ranieri ha invocato pene che, sommate, toccano i 33 anni di carcere.

Nello specifico, sono stati chiesti:

10 anni di reclusione per Antonio Barbato, 49enne di Cesa, accusato di due episodi estorsivi su tre contestati;

11 anni per Carmine Lucca, 55 anni, residente a San Marcellino;

7 anni per Antonio Chiacchio, 45enne originario di Teverola;

5 anni per Antonio Palumbo, 36 anni, di Cancello Arnone.

Il processo è in fase avanzata e, nella prossima udienza al Tribunale di Napoli Nord, saranno discusse le difese dei legali degli imputati. L’inchiesta, portata avanti dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ha fatto emergere una rete criminale che avrebbe imposto il pizzo tra il 2017 e il 2018 in numerosi comuni del Casertano: Teverola, Castel Volturno, Marcianise, Casal di Principe e San Cipriano d’Aversa.

In origine, erano nove le persone coinvolte nelle indagini. Per cinque di loro, però, il procedimento si è separato: alcune posizioni sono state trasferite per competenza territoriale al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, altre hanno scelto di seguire il rito abbreviato.

Le indagini, svolte dai carabinieri della Compagnia di Casal di Principe, hanno ricostruito l’esistenza di un gruppo specializzato in estorsioni, che secondo l’accusa faceva capo a Mario De Luca, figura di rilievo del clan (la sua posizione è attualmente al vaglio di un altro giudice).

Il meccanismo prevedeva minacce e intimidazioni verso titolari di negozi e imprenditori, in alcuni casi anche con aggressioni fisiche o danneggiamenti: in un episodio, sarebbe stata impiegata una mazza da baseball per spaventare la vittima. Alcune persone in condizioni economiche drammatiche, pur di non subire ritorsioni, avrebbero ceduto generi alimentari, beni di prima necessità e altri prodotti destinati ai detenuti o a familiari dei membri dell’organizzazione.

Tra le accuse anche quella di aver gestito episodi di “cavallo di ritorno”, ovvero la restituzione di veicoli rubati previo pagamento, come nel caso di un’auto sottratta e ritrovata in un parcheggio di un centro commerciale.

A difendere gli imputati, una squadra di legali composta dagli avvocati Giovanni e Michele Cantelli, Agostino Di Santo, Luciano Fabozzi e Agostino D’Alterio. Si ricorda che, fino a eventuale condanna definitiva, gli indagati devono considerarsi non colpevoli.

Un click e sei sempre informato! Iscriviti al nostro canale WhatsApp per ricevere le news più importanti. Premi qui ed entra!