
SAN TAMMARO. Doveva essere latte di bufala puro, ma per l’accusa si trattava, almeno in parte, di latte vaccino. È questo il fulcro del processo che coinvolge Maria R., imprenditrice 69enne del posto, oggi imputata presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
La donna, figura ben conosciuta nell’ambito dell’allevamento bufalino della zona, è chiamata a rispondere di una presunta frode commerciale: avrebbe venduto a un caseificio latte dichiarato come interamente di bufala, che invece sarebbe stato miscelato con latte di mucca. Secondo la Procura, si tratterebbe di una truffa finalizzata a ottenere un guadagno indebito, sfruttando la differenza di valore economico tra i due tipi di latte.
A rappresentare la parte civile ci sono gli avvocati Gaetano e Raffaele Crisileo, mentre la difesa dell’imputata è affidata all’avvocato Vincenzo D’Angelo.
Durante l’ultima udienza, i carabinieri del NAS hanno esposto i risultati dei controlli eseguiti presso l’azienda dell’indagata. Le ispezioni avrebbero evidenziato delle incongruenze nella tracciabilità del prodotto lattiero.
Oltre alle analisi, sono state portate in aula alcune fatture che – secondo la ricostruzione dell’accusa – documenterebbero in modo inequivocabile la vendita di latte vaccino spacciato per latte bufalino, con gravi ripercussioni sul caseificio destinatario della materia prima, che utilizzava quel latte per la produzione di mozzarella.
È essenziale sottolineare che si tratta di un processo ancora in corso. In base al principio della presunzione d’innocenza, ogni imputato deve essere considerato non colpevole fino a sentenza definitiva. La cronaca giudiziaria ha il compito di informare i cittadini, riportando i fatti e le posizioni delle parti coinvolte, ma nel pieno rispetto delle garanzie processuali previste per ogni persona sottoposta a giudizio.