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Commerciante ucciso per punire pentito nel giorno della Liberazione: “Così ha aperto il fuoco”

CASAL DI PRINCIPE. “Era in macchina con Francesco Di Maio. Raffaele Bidognetti ci seguiva in un’altra auto. Di Maio si è fermato davanti al negozio di Cesare Di Bona e ha sparato.”

Sono le parole del collaboratore di giustizia Luigi Grassia, ieri acquisite nel processo a carico di Alessandro Cirillo, detto “’o sergente”, e di Francesco Di Maio, entrambi considerati efferati sicari legati al gruppo criminale dei Bidognetti. I due sono accusati dell’omicidio dell’imprenditore Cesare Di Bona, ucciso con undici colpi di pistola nel giorno del suo 78esimo compleanno, il 25 aprile del 2005, a Casal di Principe.

Il racconto di Grassia è stato formalmente acquisito dalla Corte d’Assise. Si tratta delle prime dichiarazioni rilasciate da Grassia all’inizio della sua collaborazione con la giustizia. L’udienza riprenderà alla fine di giugno, quando è prevista l’escussione del collaboratore Raffaele Bidognetti.

Le indagini

Secondo le indagini coordinate dal sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, Simona Belluccio, il movente dell’omicidio è da ricondurre a una vendetta trasversale orchestrata dal clan. Il vero obiettivo non era Di Bona, imprenditore incensurato, bensì il nipote acquisito Luigi Diana, detto “’o manovale”, all’epoca da poco passato dalla parte dello Stato dopo anni come fidato affiliato dei Bidognetti.

L’agguato fu eseguito poco dopo le 9 del mattino del 25 aprile, sotto casa della vittima, sul corso Umberto I al civico 557, all’angolo con via Ariosto. Di Bona, che viveva con la moglie e i due figli, Alfonso e Vincenzo, stava per aprire il suo negozio di ceramiche e arredo bagno “Edilcem”. Appena uscito dal portoncino verde che separava l’abitazione dall’attività commerciale, è stato raggiunto da una raffica di colpi calibro 9.

Non ebbe nemmeno il tempo di sollevare le serrande. I suoi figli, accorsi per aiutarlo, si trovarono invece davanti al suo corpo ormai senza vita e furono costretti a coprirlo con un lenzuolo. Le successive indagini confermarono che a sparare fu un solo killer con una sola arma.

L’uccisione dell’imprenditore fu il risultato di una strategia criminale che puntava a colpire la persona più vulnerabile e raggiungibile legata a Diana. Di Bona, noto e stimato in paese, non immaginava di poter diventare il bersaglio di una simile vendetta.

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