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Violenze in carcere, agenti indagati si difendono: “Turni massacranti”. Quattro sono del Casertano

MACERATA CAMPANIA/SANTA MARIA CAPUA VETERE/AVERSA/CASERTA. “Avevamo turni massacranti di lavoro, anche a Natale e Pasqua, eravamo sempre là, quella era casa nostra, una casa in cui non avevamo una guida”. Sono altri dettagli di quanto avrebbero detto in queste ore, interrogati dal gip di Milano Stefania Donadeo, tre dei tredici agenti della Polizia penitenziaria arrestati nell’inchiesta della Procura su maltrattamenti e torture nel carcere minorile Beccaria. Già ieri cinque dei sei agenti sentiti avevano fatto ammissioni parziali su “reazioni di rabbia” in un contesto in cui si sentivano “impreparati e abbandonati”.

Dagli interrogatori degli arrestati, che hanno avuto un atteggiamento collaborativo, è emerso anche che negli anni il personale della Penitenziaria al Beccaria “si è dimezzato, nessuno voleva lavorare là”. Dalle difese sono arrivate diverse istanze di scarcerazione con domiciliari su cui dovrà decidere il gip, che chiuderà venerdì gli interrogatori degli ultimi quattro arrestati. Da lunedì, poi, quelli degli otto agenti sospesi. I casertani indagati sono quattro: Giuseppe Di Cerbo, 30 anni, di Macerata Campania e Salvatore Imbimbo, 30 anni di Aversa, sono in carcere; Salvatore Bonavolontà, 30 anni di Caserta, e Giuseppe Tramontano, 30 anni di Santa Maria Capua Vetere, sono invece sospesi dal servizio.

I referti a zero giorni

Avrebbero voluto “produrre un referto medico ‘pilotato'” che certificasse che loro stessi avevano riportato ferite, ma sarebbe stata “poco credibile” una “certificazione con lesioni per gli agenti e una prognosi di zero giorni”, data dall’infermeria interna del Beccaria, “per il detenuto”. Così in un’annotazione di polizia giudiziaria del 21 marzo scorso vengono descritti i tentativi di trovare “coperture” da parte degli agenti di Polizia penitenziaria coinvolti nell’inchiesta della Procura di Milano che due giorni fa ha portato a 13 arresti e ad otto sospensioni. Nell’annotazione integrativa si fa riferimento al pestaggio del 19 marzo scorso di un ragazzo di 16 anni che sarebbe stato ridotto “in stato di semi-incoscienza”.

Detenuto che “visitato dai medici” del Beccaria, però, “aveva riportato zero giorni di prognosi”. Mentre le “immagini del sistema di videosorveglianza”, si legge nell’integrazione firmata dai pm, “hanno ripreso parte della brutale e reiterata aggressione”. Dalle conversazioni intercettate emerge l’intenzione degli agenti “di insabbiare le condotte violente”. Uno di loro diceva: “Hai capito o no? Cioè prognosi zero un mingherlino del tanto. Pure un giudice dice ‘ma come cazzo è questo?'”. Si preoccupavano anche di ciò che aveva scritto un collega in una relazione. “Ma quello io l’apparo (risolvo, ndr) con (…) l’educatore e il sindacato. Quello io proprio l’apparo. Non è un problema su quello”. In relazione alle violenze nei confronti di un altro ragazzo, poi, scrivono i pm, quest’ultimo aveva chiesto “di essere sottoposto a visita medica, visita che veniva effettuata sia dall’infermiere” sia “dal medico” descritto come il “‘capo’ dei medici in servizio al Beccaria”. Tra la documentazione acquisita, però, “non è stato reperito né il referto medico rilasciato all’esito della visita nell’infermeria interna al Beccaria, né certificazioni mediche” di un ospedale esterno.