AVERSA/SAN MARCELLINO. Sono diventate definitive dopo il pronunciamento della Cassazione le condanne per 7 persone coinvolte nell’inchiesta sulle frodi per finanziare gli aiuti del clan Zagaria agli affiliati.
Respingendo i ricorsi la Suprema Corte ha reso definitive le condanne a 3 anni e 4 mesi per Luisa Guarino (moglie di Giacomo Capoluongo), 3 anni e 10 mesi a Domenico Bassolino, 3 anni e 6 mesi ciascuno a Bartolomeo Pagliuca, Andreina Esposito, Angelo Liberto e Carmine Savanelli, 2 anni e 4 mesi a Ruggiero Guarino. Gli imputati sono di Aversa, San Marcellino e Caivano.
Il sistema degli spicciatori
L’inchiesta ha inquadrato un’associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio a vantaggio della fazione Zagaria della federazione malavitosa casalese. A gestire il meccanismo, particolarmente sofisticato, basato sull’accumulo di debito nei confronti dell’Erario attraverso una fitta rete di società fittizie che producevano fatture false, erano persone legate alla fazione “Zagaria”.
Il welfare del clan dei Casalesi alimentato da un complesso giro di frodi fiscali strutturato in tre livelli e scoperto dalla Guardia di Finanza grazie ad un accertamento di natura tecnica, una consulenza affidata a un funzionario della Banca d’Italia, che ha fatto emergere flussi finanziari anomali.
Le indagini hanno consentito di identificare 11 persone, che gestivano le società, i conti correnti e coordinavano la rete degli “spicciatori”, incaricati di eseguire i prelievi di denaro contate in banca o alle Poste per cifre contenute in maniera tale da non far scattare gli “allert” dell’antiriciclaggio. I finanzieri hanno stimato che i prelievi degli “spicciatori” ammontavano a circa 55mila euro al giorno, denaro che poi veniva fatto confluire nelle mani degli organizzatori. Sono state registrati durante le indagini, anche picchi di prelievi da 1,6 milioni al mese, per complessi 80 milioni di euro. Cifre che rendono l’idea dell’esercito di “operai” (coloro che prelevavano i contanti) a disposizione del sistema. Ovviamente l’esercito di “spicciatori”, paragonabili, nell’ambito dello spaccio di droga, ai pusher che vendono stupefacente al dettaglio, percepivano ciascuno la loro remunerazione per i servigi resi.