“Quanta spingule dai pe’ nu turnese?” recita la celebre canzone ‘E spingule francese, scritta nel 1888 dal poeta Salvatore Di Giacomo riadattando i versi di un più antico canto popolare di Pomigliano D’Arco. I versi del poeta napoletano ci riportano al tempo remoto della dinastia borbonica, quando a Napoli e nel Regno delle Due Sicilie circolavano i famosi tornesi.
La canzone narra la vicenda di un venditore ambulante di spingule francesi, ovvero di spille da balia, che si intrattiene a corteggiare una bella ragazza. Il tornese di cui si parla nel testo ha, tuttavia, una doppia valenza: oltre a essere una valuta, il termine era al tempo anche utilizzato come sinonimo di bacio.
Il tornese, in un certo senso, è anche sinonimo di Napoli. La moneta ha una storia antichissima: esso fu coniato per la prima volta nell’XI secolo, nell’abbazia di San Martino a Tours, in Francia, da cui prende anche il nome (tournois, “di Tours”), affermandosi poi in tutto il territorio francese tra il XII e il XIII secolo. La moneta arrivò poi anche in Italia, e proprio a Napoli trovò la sua fortuna.
Il “tornese napoletano” nacque nel XV secolo con gli Aragonesi e restò in circolo fino al 1861, con la dissoluzione del Regno delle Due Sicilie. La moneta di cui si parla nella canzone potrebbe quasi certamente essere quella dal valore di un tornese, emessa durante il regno di Ferdinando II di Borbone (1830 – 1859).
Il tornese è una moneta di rame di poco più di 3 grammi, con un diametro di oltre 19 millimetri. Al dritto, il tornese presenta il ritratto di re Ferdinando II, circondato dalla scritta FERD. II. D. G REGNI VTR. SIC. ET HIER. REX; al rovescio, la corona reale, sovrastante la scritta su due livelli TORNESE UNO e l’anno di conio.
La moneta, che nel XIX secolo poteva vantare l’inestimabile valore di un bacio, vale oggi sul mercato numismatico circa 150,00 euro.