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Boss confessa omicidi in una lettera, ma non viene sentito. I motivi della condanna

 

 

MARCIANISE. Non basta la confessione per il boss. Sono state rese le motivazioni con le quali la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 16 anni per il boss Domenico Belforte. Nel 2015 il fondatore della cosca egemone per anni a Marcianise aveva scritto una lettera alla Dda nei quali ammetteva le proprie responsabilità in merito a ben 19 omicidi.

Tra questi anche quello dei coniugi Biagio Letizia e Giovanna Breda, genitori dell’ex ras dei Quaqquaroni ed ora pentito Primo Letizia, ma non ci sarebbero stati approfondimenti successivi al manoscritto. Il capoclan dei Mazzacane era stato assolto ma poi condannato in Appello a 16 anni con un verdetto che era stato impugnato dai suoi legali.

I legali avevano portato all’attenzione della Suprema Corte la confessione di Belforte che aveva ammesso di aver dato l’ordine di morte agli affiliati. Inoltre era stato evidenziato come, dopo la famosa lettera, Belforte non era stato interrogato in riferimento ai quei delitti. Peraltro nonostante la confessione non era stata riconosciuta l’attenuante della dissociazione che avrebbe potuto portare ad una riduzione della pena. La Cassazione ha rigettato l’istanza evidenziando che l’attenuante deve essere limitata a quanto riferiti per i reati per i quali si procede.

Il delitto

Il delitto avvenne il 10 aprile 1997: secondo la Dda il clan dei Mazzacane aveva deciso di eliminare la donna poiché ritenuta confidente dei carabinieri, mentre Letizia veniva ammazzato perché, rifiutatosi di ucciderla, stava tentando di costituire un gruppo autonomo. Dopo la confessione di Belforte l’udienza è stata rinviata all’11 dicembre quando ci sarà la requisitoria del procuratore generale e poi la discussione degli avvocati.