CASTEL VOLTURNO. Un quadro di emarginazione e degrado socio-economico, ma anche di in Capua Vetere. tegrazione mai veramente completata, fa da sfondo alla tragica vicenda che ha coinvolto a Castel Volturno “Gianni”, un bimbo di due anni, ucciso ieri a botte dal patrigno mentre la madre lavorava. A sottolinearlo e’ stato anche il procuratore di Santa Maria Capua Vetere.
Maria Antonietta Troncone ha parlato all’Ansa di “storia orribile maturata in un tessuto sociale degradato e abbandonato, senza alcun riferimento”. L’uomo, un nigeriano di 30 anni, e’ stato arrestato dai carabinieri, mentre la madre del piccolo, una liberiana arrivata in Italia nei primi anni duemila dopo essere scappata dalla guerra civile nel suo Paese, e’ sotto choc. La donna, per lavorare, affidava il piccolo al compagno, e sembra che in passato sia lei che il bimbo fossero gia’ stati maltrattati, ma lei non lo aveva confidato a nessuno.
“Conoscevo la ragazza sin da quando venne in Italia con la madre – ricorda Renato Natale, sindaco di Casal di Principe e medico che da vent’anni assiste gli immigrati al Centro della Caritas “Fernandes” di Castel Volturno – erano fuggite dalla guerra civile in Liberia, durante la quale il papa’ era stato ucciso. Le curavo entrambe; qualche mese fa fui chiamato a casa proprio dal compagno della ragazza, perche’ la mamma stava male; poi purtroppo e’ morta. Lei (la ragazza, ndr) non riuscivamo a trovarla, e scoprimmo che era stata arrestata a Roma. Eppure la ragazza era stata aiutata molto da quando era piccola; un medico volontario, Gianni Grasso – aggiunge Natale – le ha fatto prendere un diploma di alberghiero facendola lavorare sulla navi da crociera, l’ha iscritta all’Universita’ a Napoli. Quello che e’ accaduto e’ terribile”.
Sul fronte delle indagini, la vicenda sembra quasi del tutto ricostruita: tra oggi e domani ci sara’ l’autopsia sul corpo del piccolo, che dovrebbe stabilire con esattezza come e’ morto il bimbo, ovvero se in seguito all’uso da parte del 30enne nigeriano di corpi contundenti o altri oggetti particolari, o delle sole mani; contestualmente dovrebbe esservi anche la convalida del fermo eseguito ieri sera su ordine della Procura. Anche Antonio Casale, direttore del Centro Fernandes, situato a non molta distanza dalla casa dove la liberiana viveva con il compagno e il figlio, conosceva la coppia. “Venivano spesso da noi, lui era affettuoso con il piccolo, non riesco a capire come sia potuto accadere. Di storie di violenza ne apprendiamo tante, vista la poverta’ e la disperazione che si vive nella comunita’ di immigrati a Castel Volturno, ma non avevano mai visto una violenza del genere contro i bimbi”.
Quella della 29enne e’ una vicenda emblematica di come possa essere complicato vivere in un posto come Castel Volturno, dove si contano ventimila immigrati perlopiu’ africani, e dove soprattutto migranti che hanno iniziato un percorso di inclusione nella legalita’, che sono la minoranza, si trovano a vivere con la stragrande maggioranza degli altri immigrati non regolari o dediti allo spaccio di droga o ad altri reati, che dunque sopravvivono, lavorando spesso in nero nei campi o nell’edilizia, e non si integrano; una mescolanza che puo’ essere deleteria. E’ il caso della 29enne madre del piccolo ucciso, operatrice socio-sanitaria, con un diploma e una breve frequentazione universitaria, incoronata persino come reginetta al Carnevale di Villa Literno, capace di parlare un italiano fluente: negli ultimi mesi la donna aveva iniziato ad avere problemi con la giustizia – era stata arrestata per spaccio di droga – e forse proprio dopo aver iniziato la relazione con il 30enne nigeriano, che faceva il giardiniere in modo saltuario, e passava la sua giornata con gli amici connazionali, alcuni dediti a spacciare, nei pressi di un negozio di alimentari gestito da africani situato sulla statale Domiziana.