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Telefono aziendale, tassametro e bunker: lo spaccio 2.0 dell’alto Casertano

Matese. Undici persone sono state arrestate dai carabinieri del Comando provinciale di Caserta, nell’ambito di un’indagine della Dda di Napoli, con l’accusa di aver creato e gestito due piazze di spaccio di sostanze stupefacenti, in particolare cocaina, crack ed hashish, nei comuni dell’Alto-Casertano di Alife e Piedimonte Matese.

 

I militari hanno eseguito, su ordine del Gip di Napoli, cinque ordinanze in carcere, quattro ai domiciliari e due obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria, oltre alla misura di collocamento in comunità per due minorenni emessa del Gip del Tribunale per i minori. Gli indagati, è emerso, utilizzavano un’utenza dedicata, quasi una sorta di “telefono aziendale”, con cui ricevere gli ordinativi per lo stupefacente e concordare le cessioni, e si avvalevano di un tariffario fisso in relazione alla tipologia di distanza da spacciare ed al peso della dose richiesta; rispondono a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti e di centinaia di condotte di detenzione, trasporto e cessione illecita di stupefacenti.

 

Nel corso dell’inchiesta, realizzata dal 2016 dai carabinieri delle compagnie di Capua e di Piedimonte Matese, sono stati arrestati sette spacciatori, sequestrati oltre mezzo chilo di droga e quasi 36mila euro in contanti; una decina di acquirenti-assuntori sono stati segnalati alla Prefettura. L’indagine ha fatto emergere l’esistenza di due piazze che operavano in autonomia ma si rifornivano dallo stesso grossista, Raffaele Riccardo (destinatario di misura carceraria).

 

Ad Alife la base era nella palazzina Iacp occupata dalla famiglia Fargnoli, protetta da un sistema di video-sorveglianza che ne faceva quasi un bunker; qui tutti i membri del nucleo garantivano lo spaccio in maniera ininterrotta, sia in orario diurno che notturno, e i compratori arrivavano principalmente dai comuni dell’alto casertano e del beneventano. Organizzatori, è emerso, erano Robert Fargnoli e la moglie Maria Assunta Di Chello che preparavano anche il crack, mediante un processo di lavorazione della cocaina; entrambi sono finiti in carcere con il figlio Robert junior, usato come pusher. L’altra base era a Piedimonte, ed era retta dagli indagati Toni Porreca e Luigi Verolla; la droga, soprattutto hashish, veniva venduta a giovani locali, quasi tutti studenti o operai.

 

Nella foto: Robert Fargnoli e Maria Assunta Di Chello