MONDRAGONE. Una lettura attenta e scrupolosa del provvedimento firmato dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli, Ivana Salvatore, che ha mandato a giudizio dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il boss Tiberio Francesco La Torre, fa emergere nuovi e preoccupanti elementi per la sicurezza personale del consigliere regionale Giovanni Zannini e per la tranquillità della sua famiglia.
Nel formulare i capi di imputazione di tentata estorsione ai danni di Zannini e di estorsione a carico dell’imprenditore Alfredo C., il GIP evidenzia due aspetti ben precisi della condotta delittuosa tenuta da Puntinella: il primo riguarda la presenza di una seconda persona ancora in corso di identificazione ma tuttora libera di agire; il secondo, è relativo al fatto che La Torre, il giorno 8 maggio, sia a Pasquale C. che al padre Alfredo C. chiede insistentemente di incontrare Zannini affinchè questi gli consegni la somma di 50 mila euro entro la sera altrimenti lo avrebbe ucciso.
Insomma, dagli atti di indagine emerge chiaramente che La Torre avrebbe ucciso Zannini se il consigliere regionale non lo avesse denunciato e se i carabinieri non lo avessero tempestivamente arrestato.
“Una condotta criminale aggravata dal metodo mafioso che fa comprendere bene il contesto di cui siamo state vittime e che solo grazie al rapido ed incisivo intervento dei Carabinieri e della DDA, a seguito delle nostre pronte denunce, non ci sono state conseguenze peggiori. Siamo sicuri che presto verrà identificata anche la seconda persona che ha agito con La Torre, così da chiudere il cerchio investigativo su una vicenda così grave in cui lo Stato ha vinto ancora una volta”, dichiara Giovanni Zannini, consigliere regionale della Campania.