
REGIONALE. È una giornata di lutto per il Corpo di Polizia Penitenziaria. Un sovrintendente di 57 anni, in servizio presso il Nucleo Traduzioni e Piantonamento, si è tolto la vita poche ore fa nei pressi della propria automobile, nel parcheggio interno del Centro Penitenziario di Secondigliano, a Napoli.
A diffondere la notizia, visibilmente commossa, è stata Tiziana Guacci, segretaria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Piangiamo la perdita di un collega, un uomo che ha servito lo Stato con dedizione. Il suo gesto ci lascia attoniti, carichi di dolore e pieni di interrogativi. Dietro quell’uniforme c’era un essere umano segnato da una sofferenza divenuta, evidentemente, insopportabile”, ha dichiarato. “Una sofferenza silenziosa – ha aggiunto – come accade troppo spesso tra chi lavora nelle carceri italiane, costretto a sopportare un peso emotivo che si accumula giorno dopo giorno, spesso nell’indifferenza”.
Sulla vicenda è intervenuto anche Donato Capece, segretario generale del SAPPE, che ha parlato senza mezzi termini di “una strage silenziosa” che coinvolge da anni la Polizia Penitenziaria. “Quella di oggi è la seconda tragedia simile da inizio anno nel Corpo – ha ricordato – e la terza se si considera anche il suicidio dell’impiegato amministrativo in Calabria. È una conta che si fa ogni anno, e ogni volta ci sentiamo inascoltati”.
Capece ha tracciato un quadro drammatico delle condizioni in cui operano gli agenti penitenziari: “Turni infiniti, stress insopportabile, solitudine, strutture fatiscenti, mancanza di personale e un silenzio istituzionale assordante. Le nostre denunce sono spesso accolte con indifferenza, come se parlassimo di numeri e non di persone”.
Il segretario del SAPPE ha quindi rilanciato l’appello per interventi urgenti a tutela della salute mentale degli agenti: “Servono misure concrete per contrastare il disagio lavorativo. Come proposto da esperti del settore, va creata una direzione medica autonoma della Polizia Penitenziaria, con medici e psicologi del Corpo, che possano prendersi cura della salute psico-fisica dei nostri colleghi”.
L’uomo, del quale non sono state ancora diffuse le generalità per rispetto della famiglia, era stimato e conosciuto tra i colleghi. Lascia un vuoto profondo e pone ancora una volta sotto i riflettori una realtà troppo spesso ignorata: quella degli operatori penitenziari, “baschi azzurri” che vivono quotidianamente situazioni limite, con poche tutele e tanto silenzio intorno.
“Oggi – ha concluso Capece – ci stringiamo alla famiglia di questo collega con il cuore colmo di dolore. Che il suo sacrificio non venga dimenticato e possa servire da monito per un cambiamento non più rinviabile”.