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Sandokan rompe il silenzio dopo la mazzata: la fuga misteriosa di Bardellino

CASAL DI PRINCIPE/SAN CIPRIANO D’AVERSA. Francesco Schiavone, noto come Sandokan, figura storica e sanguinaria del clan dei Casalesi, è tornato a parlare. Lo ha fatto lo scorso 21 maggio, nel corso del processo d’appello per gli omicidi di Luigi Cantiello, Nicola e Luigi Diana, avvenuti nel 1983. In videocollegamento con la Corte d’Assise d’Appello di Napoli, presieduta da Silvana Gentile, Schiavone ha ammesso la sua partecipazione diretta a quel triplice assassinio. Una confessione che, però, non gli è valsa alcuno sconto di pena: l’ergastolo, già stabilito in primo grado, è stato confermato.

La dichiarazione segna un momento cruciale nella parabola giudiziaria e mafiosa di Sandokan, perché arriva dopo il fallimento della sua breve collaborazione con la giustizia. Un percorso avviato a marzo 2024 e poi bruscamente interrotto dalla Procura, che ha ritenuto poco credibili – e parziali – le rivelazioni fornite. Ma Schiavone insiste: “Io voglio raccontare tutto, anche senza collaborare ufficialmente. È un mio diritto”.

Il giallo del vecchio padrino

Nel suo intervento, oltre a ripercorrere i dettagli dell’agguato del 1983, Schiavone ha accusato un altro collaboratore di giustizia, Giuseppe Pagano, di essersi attribuito responsabilità non sue. Ha poi raccontato che, subito dopo quei delitti, insieme agli altri del gruppo armato, raggiunse Ponte Chiasso e da lì partì per il Brasile, dove sarebbe stato accolto da Antonio Bardellino, il fondatore del clan che lui stesso avrebbe poi sostituito ai vertici.

È proprio questa menzione a Bardellino ad accendere un nuovo riflettore su una storia mai veramente chiusa. Ufficialmente, Bardellino fu assassinato in Brasile nel 1988 da Mario Iovine, su ordine dello stesso Sandokan, secondo quanto stabilito dalla sentenza Spartacus. Tuttavia, da luglio 2023 quella verità scricchiola. Nuove indagini, coordinate dal pm Vincenzo Ranieri, mettono in dubbio che Bardellino sia stato davvero ucciso. Si ipotizza che sia sfuggito all’agguato, protetto da coperture potenti, e che abbia continuato a vivere nell’ombra, forse ancora in Sud America.

Il fatto che Schiavone, con il suo bagaglio di segreti criminali e 27 anni di regime di 41 bis sulle spalle, affermi di averlo incontrato dopo un triplice omicidio, in un contesto che coinvolgeva anche figure come Tommaso Buscetta e Gaetano Badalamenti, non può essere ignorato. Il suo “queste però sono altre cose” lascia intendere che ci siano ancora molti nodi da sciogliere nella storia della camorra casalese e delle sue connessioni internazionali.

Collaborazione sospesa

La Procura di Napoli, oggi diretta da Nicola Gratteri, ha però sospeso il suo processo di collaborazione proprio perché considera queste affermazioni poco utili o non verificabili. Secondo l’Antimafia, Sandokan avrebbe evitato i temi centrali e mostrato un atteggiamento reticente.

Tuttavia, la sua scelta di parlare, nonostante l’ergastolo confermato e l’interruzione della collaborazione, rappresenta un segnale importante. Perché un boss che rompe l’omertà, anche solo per raccontare parte della propria storia, può ancora essere la chiave per decifrare una delle pagine più oscure della criminalità organizzata italiana.

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