
Domenica 15 giugno scorso è stata inaugurata la “Tipografia Museo”, sita nella chiesa di Santa Maria della Vittoria all’Anticaglia, nel cuore del centro storico, prima realtà museale a Napoli dedicata alla tipografia e alla stampa. Il progetto è stato ideato e sostenuto da Carmine Cervone, impegnato da anni a promuovere l’arte della tipografia in tutte le sue forme ed espressioni.
La Tipografia Museo si inscrive in un percorso che attraversa le strade dell’antica Neapolis, dialogando con i luoghi e le loro storie: al centro del decumano superiore, a pochi passi dai resti del teatro romano; da palazzo Caracciolo di Avellino, che vide soggiornare un adolescente Torquato Tasso, e dalla chiesa di San Giuseppe dei Ruffi, legata alla leggenda di Virgilio Mago, la Tipografia Museo è un nuovo punto fermo per tornare a riflettere e a interrogare la storia della città.
Ne parliamo con Carmine Cervone, che ha deciso di rispondere ad alcune domande.
Come è nato il progetto della Tipografia Museo e perché non “Museo della Tipografia”?
Posso dire che il progetto nasce da una precedente idea. Avevo pensato di mettermi in proprio, ma non avevo capitali per farlo. Data la mia passione per la tipografia e le mie capacità, unite a questo strano desiderio di stampare, decisi di mettermi in gioco: era giunto il momento di venire fuori, e mettere su una vera e propria tipografia come se fossimo agli inizi del Novecento. Iniziai col cercare tutti quegli elementi utili a produrre libri d’artista, fondamentalmente. L’investimento era praticamente pari al peso del ‘ferro vecchio’, ‘dell’inutil piombo’ di cui mi stavo circondando, tra lo stupore dei miei colleghi che mi apostrofavano come ‘matto’. Quando poi ho finito (diciamo) la ricerca e l’installazione mi ritrovai in un piccolo museo ‘funzionate e produttivo’. Fu allora che mi accorsi di quel che avevo combinato. E me lo ripetevano tutti, i passanti, i curiosi: “Ma è un Museo? Si può entrare? Si può visitare?”
La gente voleva vedere, capire, sapere cosa facessi. Perché lo facessi. Quindi, siccome la mia tipografia è un piccolo spazio, non potevo far questo, purtuttavia facendolo. Vedi, io penso che, quando vediamo qualcosa che non conosciamo, anche se vecchia, diventa nuova e innovativa: vedere all’opera un’antica linotype che ‘sputa’ righe e parole l’emozione sale, la performance emoziona, colpisce. Capii che la gente voleva ‘vedere’. Mi dissi: “Qui bisogna fare di questa tipografia un Museo visitabile, fruibile”. Avevo bisogno di altro spazio.
Non posso dire che sia un vero e proprio museo sulla tipografia, ma una tipografia che diventa museo. Compresi vizi, virtù, imperfezioni e difficoltà. Non sono un collezionista di rarità, ma un fruitore, uno che utilizza le cose. Credo che, per quanto belli ed affascinanti siano gli attrezzi, gli strumenti, gli arredi, ciò che davvero conta sia il prodotto che se ne realizza. In questo luogo intendo salvare il mestiere: l’arte di fare il libro.
La chiesa di Santa Maria della Vittoria, per anni in stato di abbandono, ora ritorna alla vita grazie al tuo progetto. Cosa ha significato per te salvare un pezzo della storia della città?
Mah… È un’enorme, immensa soddisfazione. Amo la nostra città e poterne sistemare una virgola, per quanto enorme sia il patrimonio di Napoli, è una cosa che comunque mi accende un sorriso.
Cosa vedranno i visitatori della Tipografia Museo?
I visitatori troveranno tutti i passaggi storici della storia della tipografia. Parto da un torchio tipografico, L’Albion, brevettato alla metà del Cinquecento: nel vano della chiesetta è stata installata una stamperia di quei tempi, in tutto e per tutto. Poi ci saranno le evoluzioni avvenute durante il Novecento, post rivoluzione industriale, fino ad arrivare a esempi di oggetti che sconvolgono la storia della stampa anche ai giorni nostri. Sono tante le curiosità e gli aneddoti che girano intorno alla storia di questi oggetti.
La tipografia: com’è, e com’è stata, quest’arte a Napoli?
Napoli ha avuto tanti primati un po’ in tutte le discipline, anche in quella della tipografia. Ad esempio, nel Seicento, c’erano un numero altissimo di stamperie e di stampatori-editori, tra i maggiori d’Europa. Poi, come spesso è accaduto, vi sono state flessioni, ma nei mei ricordi di bambino (oggi ho 51 anni) c’è il centro storico stracolmo di tipografie.
La Tipografia Museo è solo l’ultimo tassello di un mosaico che negli anni ti ha visto coinvolto in numerose iniziative di promozione culturale, dalle collaborazioni con artisti internazionali alla stampa di edizioni di pregio, non è così?
È il mio settore, sì, un settore, quello del libro d’artista, difficile da mandare avanti, ma resto un inguaribile ottimista e continuo a lavorare. Pubblicare, contribuire, collaborare alla pubblicazione, alla produzione di un libro è ogni volta una soddisfazione incredibile, e vale la pena provarla, e provarla ancora.
Cosa ti aspetti dalla Tipografia Museo: idee in cantiere per il futuro?
Le premesse di attenzione sono buone. Mi auguro di riuscire a sostenere quest’impresa, impresa non da poco, a dire il vero. Credo che certe proposte interessino a tanti, mi scrivono tante persone interessate alla visita, alla possibilità di organizzare workshop. Sì, il futuro lo vedo così.