
CESA. Omicidio Marrandino, parla l’imputato: “Ho avuto paura, ho premuto il grilletto. Poi ho pensato di farla finita”. È una versione carica di tensione emotiva quella fornita da Antonio Mangiacapre, 54 anni, operaio originario di Cesa, durante l’udienza davanti alla Corte d’Assise di Napoli. L’uomo è accusato del duplice omicidio volontario dei fratelli Marco e Claudio Marrandino, avvenuto il 15 giugno 2024 lungo via Astragata, vicino all’uscita della statale Nola-Villa Literno.
Secondo quanto dichiarato da Mangiacapre, il giorno del delitto era in possesso di un’arma acquistata “da alcuni nomadi”, che teneva con sé nell’auto con l’intento – a suo dire – di provarla in un’area isolata. Proprio mentre si dirigeva verso un terreno incolto, avrebbe incrociato la vettura dei fratelli Marrandino. Da quel momento, la situazione sarebbe precipitata.
“Ci siamo incrociati per strada, c’è stato un diverbio per motivi di traffico. Sono stato insultato e uno dei due ha urlato all’altro di spararmi. Mi sono sentito minacciato, ho avuto paura. Ho afferrato la pistola e sono sceso dall’auto. Volevo solo intimidirli, ma poi ho sparato, prima a Claudio, poi a Marco”, ha raccontato l’imputato al pubblico ministero Antonio Vergara.
Mangiacapre ha inoltre confessato di aver pensato di togliersi la vita subito dopo l’accaduto: “Non ho visto arrivare i carabinieri, sono risalito in macchina e ho sentito la sirena. A quel punto ho puntato l’arma contro di me, alla gola, ma non ho trovato il coraggio. Così sono scappato. Ma non ho mai sparato contro i militari durante la fuga”.
Il processo è stato aggiornato al mese di luglio, quando prenderanno la parola il pubblico ministero per la requisitoria e gli avvocati delle parti civili, Luigi Poziello e Dario Carmine Procentese.
Secondo quanto emerso dalle indagini, i fratelli Marrandino si trovavano a bordo di un SUV BMW bianco quando si sono scontrati verbalmente con Mangiacapre. In pochi istanti, la lite si sarebbe trasformata in tragedia: l’imputato avrebbe impugnato l’arma da fuoco, colpendo Claudio – che guidava il veicolo – e poi Marco, che tentava di mettersi al riparo. L’intera scena sarebbe stata osservata da una pattuglia dei carabinieri, che è riuscita a identificare immediatamente il presunto autore del duplice omicidio.
Già noto per il suo interesse nei confronti delle armi, Mangiacapre deteneva illegalmente un vero e proprio arsenale. Durante una perquisizione nella sua abitazione, i militari dell’Arma hanno infatti trovato un fucile con le canne mozzate e numero di matricola abraso, una pistola semiautomatica e oltre 100 chili di bossoli. Nonostante ciò, la pistola utilizzata per l’omicidio non è ancora stata recuperata.
Inizialmente, si era ipotizzato un movente legato a questioni economiche, come controversie ereditarie o aste immobiliari. Tuttavia, questa pista è stata smentita dagli sviluppi dell’inchiesta. Gli investigatori ritengono oggi che Mangiacapre abbia agito in preda a un impeto incontrollato, senza premeditazione.
Neanche il tentativo dell’imputato di fornire un alibi – con presunte tappe presso una clinica di Castel Volturno e un’azienda agricola a Grazzanise – ha retto al vaglio delle indagini. Mangiacapre, difeso dall’avvocato Paolo Caterino, resta al centro del procedimento per quello che appare sempre più come un drammatico gesto d’impulso, sfociato in una tragedia irreparabile.