
PIGNATARO MAGGIORE. Pietro Ligato, ex boss del clan Lubrano-Ligato, è stato trovato senza vita nel carcere di Secondigliano, dove era detenuto da tempo. La morte è avvenuta nel pomeriggio di ieri intorno alle ore 17, pochi giorni dopo la sua scelta clamorosa di collaborare con la giustizia. Un gesto che aveva fatto notizia, soprattutto per il peso che Ligato avrebbe potuto avere nelle indagini sulla criminalità organizzata dell’Agro Caleno.
La causa del decesso sarebbe un suicidio. Ligato si sarebbe tolto la vita all’interno della sua cella nel carcere di Secondigliano. Le autorità penitenziarie e la Procura hanno avviato accertamenti per ricostruire con precisione l’accaduto, ma al momento l’ipotesi prevalente resta quella del gesto volontario.
La notizia non è stata smentita, e ha suscitato reazioni immediate tra investigatori, giornalisti e cittadini. Il nome di Pietro Ligato era tornato alla ribalta nelle ultime settimane, da quando – secondo quanto riferito nell’edizione casertana di diverse testate nel fine settimana – aveva deciso di rompere il muro dell’omertà e raccontare agli inquirenti decenni di dinamiche criminali. Una collaborazione che, se portata avanti, avrebbe potuto scuotere gli equilibri della camorra nella provincia di Caserta.
Ma ora, a pochi giorni da quella decisione, Ligato è morto. E i dubbi non mancano. Sebbene tutto sembri indicare un suicidio, non sono pochi quelli che sollevano interrogativi e sospetti.
Pietro era il figlio del defunto capoclan Raffaele Ligato, figura di spicco del clan attivo tra Pignataro Maggiore e i comuni limitrofi. Il suo arresto, avvenuto a ottobre 2024, era stato accolto con soddisfazione dagli inquirenti. Ancora più importante era sembrata la sua recente scelta di collaborare.
Ora, quella voce si è spenta. Ma non si spengono le domande. E chi conosce i meccanismi della camorra sa che certe decisioni possono costare caro. Anche in carcere.