
Marcianise/Castel Volturno. Il Tribunale ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Claudio Merolla, Giuseppe Sepulveres e Vincenzo Bello, accusati di una presunta truffa online legata alla vendita di pellet. Il giudice, dott. Luca Vitale, ha stabilito che le prove raccolte dall’accusa non fossero sufficienti per sostenere un dibattimento e arrivare a una condanna certa. Sono difesi dagli avvocati Pasquale Delisati e Paolo Di Fuccia.
La vicenda
I fatti risalgono al maggio 2022, quando su un sito di e-commerce denominato Shopping Idea comparve un’offerta vantaggiosa per l’acquisto di pellet: 3,16 euro per un sacco da 15 kg. L’acquirente interessato all’acquisto, contattò il venditore attraverso il numero indicato nell’annuncio e concordò il pagamento per 72 sacchi, versando inizialmente 690 euro su un conto intestato a Vincenzo Bello. Tuttavia, il bonifico non andò a buon fine poiché il conto risultava bloccato.
A quel punto, il venditore propose un nuovo versamento su un altro conto, questa volta intestato a Giuseppe Sepulveres, per l’importo di 670 euro. Anche questa transazione fallì per lo stesso motivo. Infine, venne effettuato un terzo bonifico da 650 euro su un conto a nome di Claudio Merolla, che andò a buon fine. Dopo il pagamento, però, il venditore divenne irreperibile e la merce non fu mai consegnata.
Sospettando di essere stato vittima di una truffa, la vittima sporse querela, facendo partire le indagini che portarono all’identificazione di Merolla, Sepulveres e Bello come presunti responsabili della frode.
L’iter giudiziario
Il processo ha avuto inizio con la citazione a giudizio degli imputati nel febbraio 2024. Durante l’udienza predibattimentale del 3 luglio 2024, tutti e tre furono dichiarati assenti. Dopo un rinvio per motivi tecnici, il 5 febbraio 2025 il giudice si ritirò in camera di consiglio per deliberare sulla fondatezza delle accuse.
La decisione del giudice
Dall’analisi degli atti, il tribunale ha ritenuto che non vi fosse una ragionevole certezza sulla colpevolezza degli imputati. La principale prova a carico dei tre era la titolarità dei conti su cui erano confluiti i bonifici, ma non vi era alcun riscontro concreto sul fatto che fossero stati loro a orchestrare la truffa.
In particolare, il numero di telefono utilizzato per la trattativa risultava intestato a un cittadino straniero non censito, e nessuna prova dimostrava che fosse effettivamente in uso agli imputati. Inoltre, le indagini non hanno chiarito se fossero stati loro a incassare il denaro, né se avessero avuto il controllo delle carte prepagate collegate ai conti.
Il giudice ha quindi evidenziato l’assenza di elementi investigativi determinanti, affermando che la sola intestazione di un conto non può costituire prova certa di un’attività illecita. Di conseguenza, in applicazione del principio del favor rei, ha deciso per il non luogo a procedere.
Le implicazioni della sentenza
Questa decisione mette in luce le difficoltà nell’accertare responsabilità nei reati di truffa online, soprattutto quando le indagini si basano su dati formali senza approfondimenti sulle effettive condotte degli imputati. La sentenza sottolinea l’importanza di indagini più approfondite per garantire che le accuse siano supportate da prove concrete e non solo da mere presunzioni.
Il caso rappresenta un esempio emblematico delle sfide che la giustizia deve affrontare nel contrastare i reati informatici, evidenziando la necessità di strumenti investigativi più avanzati per tutelare le vittime senza il rischio di condanne basate su elementi incerti.