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Soldi dei Casalesi in Cina, l’imprenditore vuota il sacco. Ecco tutti gli interrogatori

 

CASAL DI PRINCIPE/CALVI RISORTA. Partono gli interrogatori nell’ambito dell’inchiesta sul giro vorticoso di denaro che da imprenditori vicini al clan dei Casalesi finiva addirittura in Cina. L’interrogatorio più atteso era quello di Antonio Caliendo, il giovane imprenditore di Casal di Principe, noto per essere stato condannato per l’aggressione alla sua ex miss, ed ora coinvolto anche in questa vicenda.

Caliendo, finito in carcere dopo il blitz, ha ammesso gli addebiti, parlando anche delle fatture fatte dalla sua società ad un altro indagato. L’altro imprenditore in cella, Antonio Luca Iorio, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Stessa scelta di Gaetano Marrapese e Nicola Ferri, mentre le tre donne indagate (Silvana Delia Corvino, Ersilia Carano e Alfonsina Russo) hanno risposto alle domande del gip.

Caffè e dolcetti

Caliendo risulta poi aver fatto più volte affari con un cugino di Nicola Schiavone, che è stato arrestato un paio di anni fa. Nell’indagine della Guardia di Finanza e della Dda di Napoli sono finiti ai domiciliari stretti parenti e collaboratori dei due indagati principali, in particolare Nicolino Iorio, padre di Antonio, la madre di Caliendo, Delia Silvana Corvino, Gaetano Marrapese, ritenuto prestanome di Iorio, e i collaboratori di Caliendo, ovvero Ersilia Carano, Alfonsina Russo e Nicola Ferri. Collaudato il sistema di frode al fisco architettato dal duo Caliendo-Iorio. Il primo, attraverso diverse società “cartiere”, prive dunque di qualsiasi organizzazione aziendale – non avevano, è emerso, né dipendenti né mezzi – ha emesso tra il 2018 e il 2021 fatture per operazioni inesistenti per quasi 8 milioni di euro a favore della società di cui Iorio era amministratore di fatto, l’Ambienta srl, ritenuta la prosecuzione di un’altra precedente azienda colpita da interdittiva antimafia. A sua volta dall’Ambienta sono partiti bonifici per quasi 7,6 milioni all’indirizzo delle “cartiere”, e da lì i soldi sono stati “spacchettati” in tanti rivoli finiti su conti italiani ed esteri – in Bulgaria, Regno Unito, Polonia, Germania, Belgio, Lituania – intestati ai collaboratori di Caliendo o in società con sede anche in Cina (su questo aspetto sono in corso approfondimenti). I soldi hanno fatto vari giri fin quando i collaboratori dell’imprenditore li hanno in parte prelevati riconsegnandoli in contanti alla famiglia Iorio.

Era questo il senso dei continui richiami, nelle conversazioni intercettate specie tra Caliendo e Iorio, al “caffè” o ai “dolcetti”; erano infatti i termini criptici che, per la Dda partenopea, servivano ad indicare i soldi che Caliendo doveva restituire a Iorio. In cambio il primo sarebbe stato remunerato con quasi 300mila euro, come emerge da altre intercettazioni: “hai guadagnato 300mila euro, ma chi li guadagna oggi 300mila euro”, dice Iorio all’altro imprenditore.