Skip to main content

Carcere, le chat degli agenti: “Stanno in hotel”, “Nilo può travolgerci”

Santa Maria Capua Vetere. “Il miglior carcere è Santa Maria Capua Vetere, lì i detenuti è come se fossero sempre in hotel”.

Parlavano così in chat su whatsapp due poliziotti penitenziari qualche giorno dopo le violenze ai danni dei detenuti avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, il 6 aprile 2020, quando c’era già stata fuori dal carcere la manifestazione dei familiari dei detenuti contro gli allora solo presunti pestaggi, e stavano iniziando ad uscire in modo sparso su qualche sito i racconti dei detenuti vittime delle violenze.

Il messaggio, datato 15 aprile 2020, è stato letto insieme ad altri nell’udienza del processo per le violenze, che si sta svolgendo davanti alla Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere all’aula bunker del carcere, dal teste Emanuele Macrì, attualmente comandante della Compagnia Carabinieri di Cagliari e al tempo dei fatti a capo della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere, il primo investigatore ad occuparsi di ciò che era avvenuto nell’istituto di pena casertano.

Dal tenore dei messaggi letti in aula da Macrì su sollecitazione del pubblico ministero Alessandro Milita (procuratore aggiunto a Napoli ma applicato a questo processo), emerge la paura e l’ansia degli agenti per quello che sarebbe potuto venire fuori. L’11 aprile un agente scrive al collega: “Sta cosa del Nilo può travolgere tutto”; un altro poliziotto si preoccupa che i video dei familiari dei detenuti che avevano protestato dopo il 6 aprile contro le violenze subite dai congiunti, potesse finire sulle reti nazionali. “I sindacati devono intervenire per evitare strumentalizzazioni”, dice.