MARCIANISE/CAPODRISE. La svolta è arrivata: da qualche ora Francesco Piccolo, 30 anni, può lasciare l’abitazione di Capodrise dove era ristretto agli arresti domiciliari da ormai tre settimane. Il tribunale del Riesame ha accolto in toto l’istanza presentata dal legale, l’avvocato Nicola Musone, revocando qualsiasi misura cautelare.
Piccolo torna quindi libero. Il giovane è il figlio del noto boss dei Belforte Gaetano Piccolo, detto o Ceneraiuolo, ma si era tenuto sempre lontano dagli ambienti criminali. Quello di tre settimane fa è stato il suo primo arresto e anche la sua posizione è stata decisiva per riottenere la libertà. Piccolo era l’unico degli otto arrestati dai carabinieri di Maddaloni, ristretto ai domiciliari. Gli altri 7 erano in carcere dopo il blitz, anche se ora molte misure stanno cambiando dopo il tour de force dei legali al Riesame.
Coinvolti nel giro ristoratori e assicuratori
In totale gli indagati sono 15, tra i quali due ex gestori di un noto locale della movida calatina e un assicuratore. Per 7 non è stata prevista alcuna misura. Nel complesso gli indagati sono 15 e alcuni perderanno a breve il Reddito di Cittadinanza: la droga sarebbe stata comprata anche grazie ai soldi del sussidio per poi essere rivenduta sul mercato.
Dalle indagini coordinate dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, è emerso che il gruppo acquistava lo stupefacente, in particolare hashish, marijuana, crack e cocaina, nelle piazze di spaccio dell’hinterland napoletano per poi rivenderla a Maddaloni e nei comuni limitrofi a giovani acquirenti. I pusher giravano per il territorio ed erano sempre pronti a portare le dose ai clienti.
Il padre è al carcere duro
Recentemente Prima Sezione della Suprema Corte ha confermato il carcere duro per Gaetano Piccolo, 60 anni, uno degli storici boss del sodalizio dei Mazzacane e padre di Francesco.
O’ Ceneraiuolo aveva chiesto la revoca del 41bis, tenendo conto delle emergenze processuali e della disgregazione del clan Belforte, conseguente all’apertura alla collaborazione di alcuni suoi esponenti di spicco, tra cui Salvatore Belforte e Camillo Belforte, che imponevano di ritenere interrotti i collegamenti tra il ricorrente e la criminalità organizzata dell’area dalla quale proveniva. Gli ermellini però non furono dello stesso avviso confermando il carcere duro.