MARCIANISE. E’ lo stato il cellulare e in particolare una chat ad incastrare uno degli arrestati nel blitz dei carabinieri della Compagnia di Marcianise successivo alla decisione della Cassazione che ha respinto le istanze dei legali.
In queste ore i militari hanno eseguito cinque ordinanze di carcerazione emesse dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Napoli (Ufficio Esecuzioni Penali) a carico di altrettante persone colpite da sentenze definitive di condanna per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito e allo spaccio di sostanze stupefacenti con l’aggravante del metodo mafioso. I reati sono stati commessi a Marcianise.
Si tratta in particolare del 31enne Francesco Piccirillo, che deve scontare la pena della reclusione di 9 anni e 8 mesi, del 30enne Gregorio Raucci (9 anni e 2 mesi), di Marco Viciglione, 37 anni (9 anni e 2 mesi), del 39enne Nicola Viciglione (10 anni e 2 mesi), tutti di Marcianise, e di Rosario Valenti, 31 anni di Niscemi (Caltanissetta), condannato a 9 anni e 10 mesi di carcere. L’indagine che aveva portato i cinque agli arresti nel 2018 era stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e realizzata dai carabinieri della Compagnia di Marcianise.
Ad incastrare Francesco Piccirillo all’epoca dell’inchiesta era stata la presenza sul suo cellulare cellulare rinvenuto nel corso dell’attività dai carabinieri, del numero di telefono del ras dello spaccio (poi deceduto in carcere). Nello smartphone Samsung di Piccirillo quel numero era memorizzato come “zio”.
La difesa aveva evidenziato nel corso processo che il numero dal quale erano partite le intercettazioni non era in realtà quello del giovane del rione Marte e che l’individuazione, anche nel successivo dialogo con De Sivo, era avvenuta esclusivamente sulla base del riconoscimento vocale.
Tesi smontata sia dal Riesame che dalla Suprema Corte: i giudici hanno descritto Piccirillo come un addetto alla vendita del dettaglio dell’hashish per conto del gruppo con il sistema del “cavallo di ritorno”, grazie al rapporto diretto con Pontillo, dal quale si recava, secondo l’accusa, per pagare quanto dovuto. Un impianto giunto fino alla Cassazione che, avallandolo, ha di fatto spalancato le porte agli arresti di oggi e messo fine alla prima tranche del filone