Nacque a Napoli nel quartiere Chiaia, in via Ascensione, il 27 marzo del 1898 Annunziata De Filippo, detta Titina, figlia naturale di Eduardo Scarpetta e Luisa De Filippo, sorella maggiore di Peppino ed Eduardo. La storia di questa famiglia di incalcolabile importanza per il teatro napoletano, italiano e mondiale (in particolar modo quella dei tre fratelli) è stata di recente ripercorsa in modo egregio da Sergio Rubini nel film I fratelli De Filippo, andato in onda per sole tre giornate al cinema e, successivamente, in prima serata su Rai1.
E’ stato subito record di ascolti, a testimonianza del grande affetto del pubblico, il quale non li ha dimenticati e mai potrà dimenticarli. Un lavoro per nulla facile, soprattutto perché la vita e la morte di tutti i De Filippo sono state già largamente raccontate, in alcuni casi da loro stessi, e con parole straordinarie. Abbiamo ancora nella memoria, ad esempio, la dedica commovente che Eduardo De Filippo scrisse per la morte di Titina e che lesse in diretta nazionale prima della messa in onda dell’ultima commedia: ‘Chi è cchiù felice ‘e me’.
Ma non era felice, in quei giorni, il genio tra i più grandi del teatro. Non lo poteva essere. Dopo 15 anni di lotta con un cuore capriccioso, si era spenta la sorella amata: “La scomparsa di Titina mi ha colpito due volte: come fratello di sangue e come fratello d’arte. E’ inutile che vi parli del primo vincolo, ma del secondo, quello che lei ed io avevamo stretto sul piano della stima, della comprensione e del rispetto reciproco, di quello sento il dovere di parlarvene per farvene parte, in quanto esso nutriva un patrimonio spirituale che riguarda anche voi.”
“Quando avevo in mente una commedia, non appena l’idea si affacciava nel mio cervello, come prima cosa ne parlavo a Titina. E con Titina ci guardavamo negli occhi. Un sorriso di adesione da parte sua rappresentava per me la garanzia del successo. Un suo suggerimento, la proposta di allungare o sfilzare un dialogo, erano sempre appropriati costruttivi, coerenti con il soggetto e sempre ispirati ad una comune visione del teatro. Perciò ci volevamo bene io e Titina.”
“Titina mia, questo secondo ciclo di commedie lo dedico a te e quant’altro farò per il teatro sarà per onorarti e sentirti vicina. Disponete il vostro spirito alla carezza adesso, è il solo omaggio che possiate fare alla sua memoria. Titina era gaia, allegra, di natura esuberante. Se n’è andata serena e convinta che l’abito da malata non le stava bene, e lo portava addosso da quindici anni.”