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Delitto scoperto con Dna, sentenza ribalta tutto: un solo condannato e 4 assolti

 

MARCIANISE/RECALE. Colpo di scena nel processo per l’omicidio di Luca Famiano. Ben quattro sono stati scagionati: si tratta di Achille Piccolo, classe 1978; Achille Piccolo, classe 1975; Pasquale Piccolo e Giovanni Perreca, che sono stati mandati assolti dal gip Rossetti.

L’unico condannato è Antimo Mastroianni di Recale che ha rimediato 30 anni di reclusione. Raccolte quasi totalmente le tesi difensive perorate dagli avvocati Massimo Trigari (difensore di Pasquale Piccolo e Achille Piccolo 78), Angelo Raucci (Achille Piccolo 75), Renato Iappelli (Antimo Mastroianni e Giovanni Perreca). Le indagini erano state portate avanti dalla squadra mobile casertana e dal pm Landolfi, con una svolta grazie al Dna.

L’omicidio del ’96

 

Il delitto si inquadra nell’ambito della cruenta faida che, al fine di stabilire il predominio criminale su Caserta e comuni limitrofi, ha visto fronteggiarsi per oltre un ventennio, dal 1986 al 2007, due potenti fazioni camorristiche: il gruppo “Belforte” alias “Mazzacane”, di estrazione cutoliana, e il gruppo “Piccolo-Letizia” alias “Quaqquaroni”, confederato con il clan “Perreca” di Recale. Al tempo, lo scontro tra i clan raggiunse livelli di violenza tali che, nel gennaio del 1998, indussero l’allora Prefetto di Caserta ad emettere quella che fu battezzata come “il coprifuoco anti- camorra”, ovverosia un’Ordinanza, prima del genere dalla seconda guerra mondiale, con la quale fu disposta per 20 giorni la chiusura di bar e circoli a Marcianise dopo le ore 22.00. In tale cornice criminale, come ricostruito dalla Squadra Mobile di Caserta, cui sono state delegate le indagini, il 31 luglio del 1996 FAMIANO Luca fu ucciso perché era transitato dal clan “Piccolo-Perreca” a quello rivale dei “Belforte”.

 

In particolare, un gruppo di persone, incappucciate e armate di pistole e mitra, intorno alle ore 8.00 di quel giorno, tesero un agguato al FAMIANO nel mentre, in macchina con la sua convivente, si trovava nei pressi della propria abitazione di S. Clemente di Caserta. Era seguito a ruota da un’altra macchina su cui viaggiavano suo cognato, la fidanzata e due sue nipoti. I criminali fecero fuoco all’impazzata sulle auto con i mitra e le pistole, determinando il quasi immediato decesso del FAMIANO, morto poco dopo in ospedale, e il ferimento grave delle sue nipoti. Dopo il raid, i delinquenti si dileguarono a bordo di un’auto scura di grossa cilindrata, poi risultata una Lancia Thema rubata alcuni giorni prima. Durante la fuga, detta autovettura fu notata e inseguita da una volante della Polizia che, tuttavia, non riuscì a fermarla a causa dell’azione di disturbo realizzata da un’altra macchina; per ciò, il relativo conducente fu arrestato. Tuttavia, poco dopo la Lancia Thema fu individuata, ormai abbandonata. Al suo interno furono sequestrati numerosi oggetti riconducibili ai killers, tra i quali passamontagna, guanti e altro, oltre ad alcune munizioni cal. 7.62×39 (il calibro tipico del kalashnikov).

 

Poco distante sarebbe stato successivamente rinvenuto altro materiale, tra cui anche due dei mitragliatori che, come successivamente accertato, erano stati impiegati per l’agguato. Altro materiale ancora, tra cui anche dei teli di spugna e un passamontagna, fu rinvenuto all’interno dell’appartamento disabitato dal quale erano usciti i killers per effettuare l’agguato. 2 Lo sviluppo delle indagini, forti anche del contributo delle dichiarazioni di importanti collaboratori di giustizia, è arrivato a una svolta allorquando, grazie ai più recenti progressi tecnologici nel campo della genetica forense, è stato possibile estrapolare frammenti di DNA su alcuni campioni biologici rinvenuti sugli effetti personali sequestrati nell’appartamento e nella macchina.