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Firema, choc in aula. Gli ex operai ammalati: “Noi ignari del pericolo per la salute”

 

CASERTA. Stanno sfilando come testimoni gli ex lavoratori della Firema, malati o molto anziani, al tribunale di Santa Maria Capua Vetere dove è in corso il processo “bis” a sette ex dirigenti dell’azienda casertana che produce carrozze ferroviarie, dal luglio 2015 denominata “Tfa” e di proprietà indiana, imputati per omicidio e lesioni colpose in relazione alle morti e alle malattie di decine dipendenti Firema causate dall’esposizione all’amianto.

 

 

All’udienza di due settimane fa furono ascoltati due ex dipendenti dell’azienda ferroviaria che hanno contratto malattie legate all’esposizione all’amianto, e che hanno spiegato di essere stati assunti ad inizio anni ’70 e di non aver mai saputo della presenza dell’amianto nelle carrozze, almeno fino all’inizio degli anni ’90, quando scoppiò il problema amianto e Ferrovie dello Stato iniziò la scoibentazione dei treni per eliminarlo; purtroppo per loro l’amianto già circolava nei polmoni e si sono ammalati. Meno fruttuoso è stata invece l’udienza di ieri, con la testimonianza di due lavoratori 80enni, che avevano difficoltà a capire le frasi per motivi di udito e soprattutto ad inquadrare i periodi in cui sarebbero avvenuti i fatti contestati dalla Procura di Santa Martia Capua Vetere. Anche loro hanno detto di non aver mai saputo dell’amianto.

 

L’arco temporale preso a riferimento per le contestazioni dall’ufficio inquirente – sostituto Giacomo Urbano – sono i primi anni ’90. Il processo è stato aggiornato al 30 settembre prossimo, quando saranno sentiti altre testimoni dell’accusa, ovvero altri ex addetti ammalatisi. Nel processo figurano tra le parti civili, oltre ai familiari del lavoratori deceduti, anche la Cgil; nello staff di difensori vi sono Sergio Tessitore, Mimmo Cannavacciuolo e Giovanna Lanatà. Imputati sono gli ex amministratori delegati della Firema Mario Fiore e Giovanni Fiore, gli ex alti dirigenti Enzo Ianuario, Maurizio Russo, Giovanni Iardino, Giuseppe Ricci e Carlo Regazzoni (l’ultranovantenne Mario Pasquali, ex direttore generale dell’azienda ferroviaria, è deceduto un anno fa). Gli ex dirigenti Ricci e Russo erano usciti indenni per assoluzione nel 2017 dal primo processo, in cui la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere aveva contestato il reato più lieve di rimozione e omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (articolo 437 codice penale). Poi l’ufficio inquirente ha aperto una seconda indagine, contestando l’omicidio colposo e indagando altri amministratori succedutisi negli anni.

 

Una strategia che ricorda quella seguita dalla Procura della Repubblica di Torino in relazione alla vicenda dell’Eternit, dove il proprietario dell’azienda, l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, era stato salvato in Cassazione dalla prescrizione dopo essere stato condannato in primo e secondo grado a 16 e 18 anni per disastro colposo in relazione a decine di decessi per amianto; l’ufficio inquirente aveva così deciso di aprire un nuovo fascicolo a carico di Schmidheiny per omicidio doloso (poi derubricato in delitto colposo), sfruttando anche la sentenza della Corte Costituzionale numero 200 del luglio 2016, che aveva dichiarato l’imprenditore processabile nuovamente nonostante la condotta fosse la stessa, e ciò senza che venisse violato il principio giuridico del “ne bis in idem”.