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IL NOME. Gioco d’azzardo nelle mani del clan, stangata per noto imprenditore

 

CASAPESENNA. Diventa definitiva la condanna a 8 anni di reclusione per Alberto Di Cerbo, 60enne accusato di essere un riferimento della cosca degli Zagaria nel business del gioco d’azzardo. In queste ore la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha depositato le motivazioni con le quali ha respinto il ricorso dell’imprenditore che si era visto ridurre a 8 anni la condanna dalla Corte di Appello per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso.

 

Secondo l’accusa Di Cerbo, grazie al clan Zagaria, avrebbe ottento un sostanziale monopolio nell’installazione di slot e apparecchi da gioco. La Corte d’Appello di Napoli nel 2019 – riconoscendo le attenuanti generiche – aveva ridotto la pena a 8 anni di reclusione, condannando l’uomo per associazione mafiosa e concorso. Secondo quanto evidenziato nella sentenza il giudice “è pervenuto alla conclusione che l’odierno ricorrente abbia assunto una “posizione dominante” nel settore del noleggio e distribuzione di apparecchiature da intrattenimento nei comuni controllati dall’organizzazione camorristica” degli Zagaria, “seguendo un percorso argomentativo, tutt’altro che illogico, fondato non solo sulle accuse, specifiche e convergenti, dei collaboratori di giustizia ma anche sulle risultanze documentali, sulle dichiarazioni dell’imputato e su quelle rese dagli esercenti dei bar dove le slot-machine erano state pacificamente collocate”.

 

Per la Suprema Corte è impossibile che l’imputato potesse avere operato per un lungo periodo di tempo nel settore in concreto più redditizio, quale si è dimostrato il noleggio degli apparecchi “regolari”, per di più affiancando nei rapporti coi titolari degli esercizi pubblici un uomo intimamente legato al clan ed al suo vertice, senza nulla corrispondere al sodalizio che pur aveva un controllo penetrante del territorio e delle attività economiche legate al gioco e alle scommesse.