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“Ha fatto uccidere l’amante del marito”, la decisione per la moglie del boss dopo l’arresto

 

 

 

MARCIANISE. Nessuna concessione per l’omicidio dell’amante del marito. Il tribunale del Riesame ha confermato l’impianto accusatorio ribadendo la custodia cautelare in carcere per Maria BUTTONE, moglie di Domenico BELFORTE, storico ras dell’omonimo clan camorristico di Marcianise. Respinta l’istanza presentata dal legale della donna, Massimo Trigari. La Buttone resta dunque reclusa a Santa Maria Capua Vetere.

 

Il provvedimento che la tiene in cella venne emesso all’esito del deposito delle motivazioni con le quali il 19 dicembre 2019, con sentenza emessa al termine di rito abbreviato, il GUP del Tribunale di Napoli ha condannato Mimì BELFORTE e la moglie Maria BUTTONE, rispettivamente ad anni 30 di reclusione e all’ergastolo, più pene accessorie, in quanto giudicati responsabili dell’omicidio di GENTILE Angela, consumato nell’ottobre del 1991. La BUTTONE è stata condannata altresì per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. poiché riconosciuta quale effettiva “reggente” del clan BELFORTE di Marcianise, almeno dall’aprile 2016 all’agosto 2017.

 

L’indagine

Gli elementi probatori alla base dell’emissione della sentenza, confermati nella misura cautelare eseguita, sono stati acquisiti nell’ambito di una lunga e complessa indagine che, sviluppata dalla Squadra Mobile della Questura di Caserta, con il coordinamento dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ha permesso di far luce sulla sparizione di Angela GENTILE, verificatasi nel 1991, oltre che sulle più recenti dinamiche afferenti alla gestione del clan de ‘i mazzacane, le cui redini sono rimaste per lungo tempo nelle mani della “first lady” criminale di Marcianise.

Le numerose acquisizioni probatorie raccolte, frutto di innumerevoli attività tecniche di intercettazione, telefonica e ambientale, ma anche di investigazioni “tradizionali” ed escussioni di collaboratori di giustizia, hanno infatti permesso di ricostruire gli eventi criminali, così da qualificare la sparizione della GENTILE una “lupara bianca” e da delinearne gli oscuri quanto raccapriccianti contorni.

L’amante del boss sparita nel nulla

Angela GENTILE, infatti, come emerso dalle indagini, era stata per lungo tempo una fiamma di Domenico BELFORTE. Da lui, nel 1978, aveva avuto anche una figlia. Il ras, tuttavia, non aveva mai “ufficializzato” quella nascita, al punto da non riconoscere la neonata. Nel 1991, quando ormai la ragazza aveva 13 anni, il BELFORTE si era riavvicinato alla GENTILE al punto da offrirle anche alcuni contributi di ordine economico ma scatenando, al contempo, le ire della BUTTONE. Questa, perciò, pose l’uomo di fronte a un aut aut: o lo avrebbe lasciato, portando con sé i loro figli, oppure lui avrebbe dovuto assassinare quella donna e occultarne il cadavere; in cambio, avrebbe accettato di crescerne la figlia presso la loro casa.

Il tragico epilogo della vicenda segnò la scelta del ras il quale, consumato il delitto, occultò il cadavere della GENTILE in un sito ancora oggi ignoto. Allo stesso tempo, la BUTTONE tenne fede al patto, accogliendo la bambina presso casa “Belforte”.

Il ruolo nel clan

In ordine alle vesti di “ras” dei mazzacane, assunte dalla BUTTONE, le indagini hanno dimostrato come la donna abbia continuato a gestire il clan in nome e per conto del marito Domenico, con massimo potere decisionale. I personaggi emersi, infatti, tutti legati tra loro dal vincolo familiare, hanno continuato a ruotare attorno alla BUTTONE, coltivando le attività estorsive, in particolare quelle limitate ad una platea di storici contribuenti che, fino al tempo di svolgimento dell’indagine, hanno ancora perorato il culto del “clan Belforte”, versando danaro alla famiglia del boss.