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L’ex ras dei Belforte consegna piazza di spaccio all’ex compagno di classe: Peppe da elettricista a capo

 

L’ex ras dei Belforte consegna piazza di spaccio all’ex compagno di classe: così Orefice è diventato capo

 

SAN NICOLA LA STRADA. Compagni di classe da piccoli, poi il suo erede nel business dello spaccio a San Nicola la Strada. Pasquale Aveta e Giuseppe Orefice sono personaggi di spessore criminale molto differente: il primo era stato un soldato fedele e sanguinario del clan Belforte prima di pentirsi, l’altro conosciuto come “Peppe Acerra” dall’origine si è interessato quasi dal nulla di piazzare hashish e cocaina.

L’investitura

Da elettricista a capopiazza, il tutto grazie ad una lettera e al permesso del ras poi pentitosi. Fino al 2006 Pasquale Aveta era stato il perno dell’attività di spaccio a San Nicola e San Marco Evangelista. Poi dopo l’arresto la situazione era mutata fino al 2009 quando ha Orefice l’autorizzazione a svolgere nel territorio di San Nicola lo spaccio dietro pagamento mensile di 300-400 euro ricevuto in carcere-

Ciò è avvenuto per 2 anni, dal 2009 al 2011 alla luce del ruolo di Aveta nel clan Belforte. Poi nel giugno 2011 Aveta si pentì cominciando a raccontare i segreti della cosca ma anche cosa si celava dietro lo spaccio dei paesi intorno al Vialone:  “Quando Orefice ero libero e gestivo la piazza della droga a San Nicola non partecipava con me alla vendita di droga, ma era comunque un mio amico in quanto eravamo stati a scuola insieme. Nel periodo in cui era libero Orefice lavorava come elettricista ed ogni tanto veniva qualche suo amico a comprare la cocaina”.

La lettera

“Nel 2006 sono stato arrestato e da quel momento non sono più uscito. Verso il 2008, 2009 Orefice mi scrisse una lettera nella quale mi mandava i saluti di altri ragazzi di San Nicola. iniziammo una corrispondenza epistorale e lui poi in una lettera mi disse che era sua intenzione iniziare un’attività di spaccio di fumo e siccome io comandavo a San Nicola chiese a me il permesso e io gli mandai una lettera nella quale lo autorizzavo, dicendogli che avrebbe potuto dire che laoarva per me”.