«Storia del nuovo cognome», il secondo capitolo della serie tratta dalla quadrilogia di Elena Ferrante, si chiude con l’incontro struggente tra Lenù e Lila, due bambine divenute donne che pensano di essere l’una il «quasi» dell’altra.
Molti sono gli interrogativi dei fan sul finale della fiction tanta amata soprattutto dal pubblico giovanile, intanto, la Rai è già al lavoro sulla terza stagione, “Storia di chi fugge e di chi resta”
Elena è affacciata sull’Arno, sulle acque increspate che riflettono la luce di una nuova alba. Al rione è conosciuta come Lenù / Lenuccia, ma a Pisa è Elena, la ragazza che è arrivata dal Sud e che sente, come sottolinea la Ferrante, “la necessità di farcela”: ogni cosa che Elena realizza è, infatti, una cosa di cui Lila, la sua “amica geniale”, si priva, piantumata com’è tra gli edifici grigi e freddi del quartiere nel quale ha sempre vissuto e che non ha mai lasciato.
Elena no. Lei è andata a Pisa, studia alla normale, ha un libretto che farebbe impallidire Lisa Simpson, eppure sente che le manca un pezzo. Lei è lì affacciata sull’Arno, che capisce che tutto quello che ha conquistato con fatica non è un tutto, ma un “quasi”. Si sente come una bambola di pezza tenuta insieme da un nastro di scotch.
Nell’ultimo episodio di Storia del nuovo cognome Lenù riassume il suo malessere in una parola: “quasi”. Che è quando ti senti incompleta, come se ti mancasse sempre un pezzo per essere come vuoi
All’improvviso mi resi conto che tutta la mia vita era un quasi:
ce l’avevo fatta, quasi. Mi ero strappata da Napoli e dal rione, quasi.
Avevo amiche e amici nuovi che venivano da ambienti colti, quasi.
Di esame in esame ero diventata una studentessa ben accolta dai professori pensosi che mi interrogavano, quasi.
Dietro a tutti quei quasi mi sembrò di vedere come stavano le cose:
avevo ancora paura e sentivo che da qualche parte Lila, come sempre, era senza quasi.
È questa la scena rivelatrice del penultimo episodio di Storia del nuovo cognome, secondo capitolo della serie dell’Amica Geniale: il punto di non ritorno che, poi, è il fulcro dell’intera quadrilogia di Elena Ferrante, trasposta brillantemente su Raiuno da Saverio Costanzo, un regista che è riuscito a dimostrare anche ai più ostinati che gli adattamenti da un libro a una serie, se fatti con amore e con rispetto, non solo sono possibili ma che, anzi, riescono a dirci qualcosa in più rispetto alle pagine da cui è stato tratto.
Il punto di non ritorno è, la consapevolezza di Lenù di essere un passo indietro, “la copia sbiadita” dell’amica di sempre, quella sempre un passo avanti a lei: qualsiasi cosa realizzerà per sé stessa non sarà mai abbastanza, perché dentro di sé sa che Lila l’avrebbe fatta meglio.
Vaglielo a dire a Lenù che la sua “amica geniale” soffre ogni volta che la vede, pensando a tutto quello che avrebbe potuto avere e che non avrà mai. Le due ragazze, che ai tempi delle scuole elementari erano sullo stesso piano, adesso abitano in due galassie lontane: una studia per diventare qualcuno e l’altra lotta tutti i giorni per sopravvivere, a una pubblicano un romanzo e all’altra assegnano l’incarico di spolpare la carne.
Lenù ha paura di dire le cose sbagliate e di non avere pensieri interessanti. Lila ha paura che Stefano possa prendere il suo corpo e farla a pezzi davanti a Rinuccio, il loro bambino che, in realtà, è il figlio di Nino Sarratore, l’unico ragazzo che Lenù abbia mai amato e che Lila le ha sfilato da sotto gli occhi, amandolo come non ha mai amato nessuno.
Di questa seconda stagione dell’Amica Geniale colpiscono due scene: quella della maestra Oliviero, la prima a credere nella sua alunna Lila e che lei “era destinata a grandi cose”, come se fosse una maestra veggente che dal primo momento avesse intuito qualcosa nella sua alunna, futuro che per un susseguirsi di cose è andato diversamente.
Forte è stato l’incontro delle due amiche dopo lungo tempo. Lenù si spinge fino a San Giovanni Teduccio, all’interno di una macelleria per trovare Lila all’interno di una macelleria con il camice blu. Lì le due dopo essersi riabbracciate ricordano la loro infanzia grazie a un libricino che scrissero da bambine, “La fata blu”. Si promettono che un giorno questo piccolo sogno di pubblicare un piccolo libricino potrebbe diventare realtà soprattutto per una delle due che nasconde l’invidia per l’amica