
Maddaloni. Diventano definitive le condanne nei confronti di cinque persone coinvolte nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli sulle piazze di spaccio attive tra Campania, Calabria e provincia di Caserta. La settima sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Massimo Ricciarelli, ha infatti dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dagli imputati contro la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli.
A ricorrere erano stati Antonio Gualtieri, Antonio Cesarano, Mario Cipolla, Ciro Gallo e Giuseppe Dogali, tutti già condannati per il loro ruolo in un’organizzazione dedita al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Con la decisione della Suprema Corte, le pene diventano definitive.
Nel dettaglio, le condanne stabilite in Appello – a seguito di un accordo tra le parti – prevedono 7 anni e 4 mesi di reclusione per Gualtieri, Cesarano e Dogali; 7 anni per Cipolla; 3 anni e 4 mesi di carcere, oltre a una multa di 3mila euro, per Gallo.
L’indagine, condotta dai carabinieri della Compagnia di Maddaloni e coordinata dalla Dda partenopea, ha ricostruito l’attività del gruppo tra dicembre 2018 e maggio 2020. Secondo gli inquirenti, l’associazione operava stabilmente nel traffico di hashish, cocaina, crack e marijuana, con basi operative nel casertano e collegamenti con il Parco Verde di Caivano e con ambienti criminali di Vibo Valentia.
Lo spaccio avveniva in particolare nelle aree del Parco Lourdes e di via Fabio Massimo a Maddaloni, oltre che nel territorio di San Marco Evangelista. Nel corso delle operazioni sono stati eseguiti 11 arresti in flagranza, contestate 13 violazioni amministrative per uso personale di droga e sequestrati ingenti quantitativi di stupefacenti, oltre a 12mila euro in contanti e un’arma da fuoco con relativo munizionamento.
Nel respingere i ricorsi, la Cassazione ha chiarito che il concordato in Appello limita la possibilità di contestare la sentenza in sede di legittimità. Per questo motivo, i giudici hanno dichiarato le impugnazioni non ammissibili, condannando ciascun ricorrente anche al pagamento di 3mila euro alla Cassa delle ammende.

