
Santa Maria Capua Vetere. Per oltre otto ore l’aula bunker del carcere di Santa Maria Capua Vetere è stata teatro di un confronto acceso nel maxi processo sulle presunte violenze avvenute il 6 aprile 2020 all’interno dell’istituto penitenziario. L’udienza di ieri ha segnato un passaggio particolarmente delicato: per la prima volta ha deposto come imputato il comandante della polizia penitenziaria Gaetano Manganelli, 49 anni, originario di Nola, chiamato a rispondere di 43 capi di imputazione.
L’esame, condotto dal pubblico ministero Alessandro Milita davanti alla Corte di Assise presieduta da Claudia Picciotti, si è concentrato sulle presunte discrepanze tra quanto dichiarato dall’ufficiale nel primo interrogatorio davanti al gip, subito dopo l’arresto, e le risposte fornite nel corso del dibattimento. Fin dalle prime domande, il clima è apparso teso, con un botta e risposta serrato tra accusa e imputato.
Manganelli ha ricordato come l’interrogatorio iniziale si fosse svolto in una situazione di forte pressione, segnata dall’impatto mediatico e umano dell’inchiesta. «Per chi ha sempre servito lo Stato, ritrovarsi imputato è stato traumatico», ha spiegato in aula. Al centro del confronto, il ruolo attribuito al comandante nella perquisizione straordinaria disposta dopo la rivolta, operazione che secondo l’accusa sarebbe degenerata in aggressioni ai danni di alcuni detenuti.
Particolare attenzione è stata riservata ai cosiddetti “gruppi speciali” giunti dal carcere di Napoli-Secondigliano, descritti come agenti travisati e mai pienamente identificati. Su questo punto, l’imputato ha ribadito più volte che tali unità avrebbero agito in autonomia, al di fuori della sua diretta catena di comando.
Il pubblico ministero ha più volte richiamato verbali e atti d’indagine, contestando le incongruenze emerse e dando vita a momenti di forte tensione in aula. Numerosi i “non ricordo” riferiti dal comandante, anche in merito a filmati dei tafferugli che, secondo l’accusa, avrebbe visionato in precedenza.
Nel corso dell’esame, Manganelli ha inoltre richiamato il contesto della rivolta, parlando del ruolo dei fratelli Flosco, detenuti nella terza sezione, accusati di aver incitato gli altri reclusi e di aver cercato visibilità mediatica nazionale. Ha infine precisato che l’ordine di procedere con la perquisizione straordinaria sarebbe partito direttamente dal provveditore Antonio Fullone, anch’egli imputato, sottolineando come le notizie provenienti da altri istituti, segnati da numerosi decessi per Covid, avessero contribuito a creare un clima di forte allarme e tensione.

