
Arienzo. Nell’ampia indagine che ha coinvolto esponenti politici, imprenditori e funzionari pubblici, un ruolo di rilievo è attribuito a Giuseppe Rea, imprenditore casertano ritenuto dagli inquirenti legato a Nicola Ferraro e al gruppo Schiavone del clan dei Casalesi.
Secondo quanto ricostruito negli atti, Rea avrebbe tentato di corrompere l’allora direttore generale dell’Asl di Benevento, Gennaro Volpe (oggi dirigente all’ospedale di Caserta), proponendogli come “omaggio” un Rolex del valore di circa 8mila euro in cambio dell’affidamento di due servizi aggiuntivi di disinfestazione.
Volpe rifiutò l’offerta e dispose tramite la segreteria la restituzione dell’orologio. Per la Dda, quell’episodio, pur respinto, dimostra la strategia di penetrazione di Rea nel settore delle sanificazioni, ritenuto strategico per il clan.
Il nome dell’imprenditore emerge anche nel filone legato al presunto riciclaggio di quasi 2 milioni di euro in contanti. Gli inquirenti ritengono che Rea abbia trasferito ingenti somme ad Antonio Moraca, poi girate a Ferraro per finanziare le attività del clan.
Un ulteriore capitolo riguarda la gara per la disinfestazione dalla legionella nell’Asl di Caserta, in cui compaiono anche Domenico Romano, i fratelli Roberto e Barbara Fiocco di Firotek, Paolo Onofrio, Luigi Bosco e l’ex direttore generale Amedeo Blasotti (ritenuti estranei dal gip). L’accusa sostiene che il bando sia stato sospeso e annullato su pressione di Bosco, per essere ricalibrato a favore di Firotek, nell’ambito di un piano di Ferraro e Romano volto a spartire appalti pubblici.
Sul fronte rifiuti, a Frattamaggiore, l’azienda Ilario avrebbe ottenuto l’appalto con l’intervento di Romano e dello zio Agizza, legati al clan Nuvoletta, con la complicità dell’allora consigliere comunale Luigi Grimaldi. L’inchiesta evidenzia anche l’uso di false segnalazioni e scritti anonimi contro aziende concorrenti, con l’obiettivo di estrometterle a vantaggio di imprese vicine al “sistema Ferraro”.

