
CASAL DI PRINCIPE. «Mi trovavo in una situazione complicata, vivevo da solo e avevo bisogno di soldi per andare avanti». Così Ivanhoe Schiavone, figlio di Francesco Schiavone, noto come Sandokan, ha spiegato ieri al giudice il motivo delle sue azioni. L’interrogatorio si è svolto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove è detenuto, su rogatoria del gip Orazio Rossi, che trasmetterà gli atti alla procura di Napoli.
Schiavone, arrestato nei giorni scorsi dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, è coinvolto in un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea insieme a Pasquale Corvino, detenuto a Latina. Le accuse a carico dei due sono gravi: riciclaggio, autoriciclaggio ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. L’inchiesta ruota attorno alla vendita sospetta di due ampi terreni situati nella tenuta Selvalunga, a Grazzanise, per un valore complessivo di circa mezzo milione di euro.
Difeso dall’avvocato Pasquale Diana, Ivanhoe ha deciso di rispondere alle domande del giudice e ha fornito la propria versione: sapeva che quei terreni appartenevano storicamente alla sua famiglia, sebbene fossero ancora formalmente intestati a Corvino. Ha raccontato di aver chiesto una perizia tecnica e poi di aver proceduto alla vendita, spinto dal bisogno di liquidità. Secondo quanto emerso dalle indagini, l’imprenditore che rifiutò l’offerta per l’acquisto dei terreni – giudicata troppo alta – rimase turbato dalla presenza del figlio di Sandokan, temendo che vi fosse un’intimidazione implicita.
Schiavone ha precisato che il denaro ottenuto dalla vendita non è più nella sua disponibilità, poiché speso per esigenze personali e familiari. L’acquirente, una società terza, avrebbe anche estinto debiti pregressi legati ai terreni.
Secondo gli inquirenti, quella compravendita fa parte di un meccanismo più ampio finalizzato a riciclare i beni del clan attraverso intestazioni fittizie. Un sistema già emerso nei 19 interrogatori rilasciati nel 2024 dallo stesso Sandokan, che aveva avviato – senza successo – un percorso di collaborazione con la giustizia. Quelle dichiarazioni sono state poi ritenute inattendibili. Tra i pochi elementi considerati rilevanti, vi è proprio l’ammissione della fittizia intestazione di fondi agricoli acquistati con capitali illeciti. A confermare la prassi anche la moglie del boss, Giuseppina Nappa, che in un interrogatorio dello scorso novembre ha raccontato che era consuetudine del marito acquistare beni e intestarli ad altri per eludere i sequestri.

