
San Cipriano d’Aversa. Durante un’udienza al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, l’ex collaboratore di giustizia Umberto Venosa ha offerto nuove ricostruzioni sull’organizzazione economica del clan dei Casalesi. Al centro delle sue dichiarazioni, il ruolo di Francesco Panaro, noto come Camardone, indicato come responsabile della “cassa” destinata al mantenimento dei detenuti sottoposti al regime del 41 bis.
“Conoscevo Panaro, figlio di Nicola, anche se quando entrai nell’organizzazione lui si era già allontanato. Mi dissero che era lui a gestire i soldi, soprattutto quelli ricavati dalle slot machine e dalle piattaforme di scommesse. Quei fondi servivano per supportare le famiglie dei carcerati in isolamento”, ha raccontato Venosa.
Secondo quanto riferito, Panaro sarebbe stato messo a capo della gestione economica “per un periodo limitato” su indicazione della famiglia Schiavone. Successivamente, secondo Venosa, la responsabilità passò a Carmine Schiavone e infine allo stesso dichiarante, che ricevette l’incarico insieme ad altri affiliati. “A informarmi furono i fratelli Alfiero, che si occupavano della contabilità delle macchinette”, ha aggiunto.
Il procedimento in corso coinvolge, oltre a Panaro, anche Mario Iavarazzo, Mirko Ponticelli, Giuliano Martino e Raffaele Maiello (già collaboratore di giustizia), accusati di aver imposto il pagamento di 50mila euro a un imprenditore edile, in cambio della “protezione” del clan. L’ipotesi della Direzione Distrettuale Antimafia è che si tratti di una classica estorsione mafiosa, realizzata con minacce e pressioni.
Il collegio difensivo è composto, tra gli altri, dagli avvocati Alfonso Quarto e Umberto Pappadia. La prossima udienza, che vedrà l’escussione del pentito Salvatore Venosa, è prevista per il mese di ottobre.

