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La storia di Francesco, dal calvario in clinica alla rinascita: “Ho perso 40 chili, ma sono salvo”

Di 12 Ottobre 2024Cronaca, Regionale

Acerra.  “Gli esempi di buona sanità sono tanti ma non fanno notizia”.

Raffaele Porfidia e Sergio Grimaldi, due chirurghi generali, presso l’ospedale Villa dei Fiori di Acerra hanno incontrato Francesco Migliore, un uomo di 42 anni che i due medici hanno aiutato durante il suo calvario durato nove mesi.

Francesco, a causa di un brutto male, si è dovuto ricoverare presso la struttura ospedaliera e sono stati propri i due medici, insieme ad altri due ad aiutarlo nel suo percorso contro il male che lo affliggeva, e i due medici, hanno deciso di incontrarlo e parlargli per fargli qualche domanda dopo quell’oscuro periodo.

Il discorso tra i medici e Francesco:

“Oggi abbiamo incontrato Francesco Migliore, 42 anni, marito e padre di un bel maschietto che ha vissuto il suo personale calvario presso l’ospedale convenzionato Villa dei Fiori di Acerra.

Ne parla a distanza di un anno, in occasione della pubblicazione di un articolo che lo riguarda sulla rivista scientifica internazionale Wounds, scritto dagli stessi chirurghi che lo hanno curato: dottori Sergio Grimaldi, Raffaele Porfidia, Pietro Picarella e Maria Ciolli.

Nove mesi di ricovero sono tantissimi. Leggere che la fistola entero-atmosferica, complicanza fra le più temibili della chirurgia maggiore, ha una mortalità di oltre il 40%, fa venire la pelle d’oca.

Francesco voleva togliere la stomia (la famosa borsetta per le feci) che gli era stata confezionata mesi prima in seguito alla resezione del sigma in urgenza per diverticolite complicata. Viene sottoposto ad intervento in laparoscopia ma i tessuti non cicatrizzano bene e, dopo ulteriore intervento e successivo ricovero in rianimazione, ritorna in reparto e dopo pochi giorni compare la temibile fistola enetro-atmosferica. In pratica le feci escono da un’ansa digiunale bucata e difficilmente riparabile.

Difficile contenere le feci, l’assorbimento dei cibi viene notevolmente compromesso e nei nove mesi di degenza dimagrisce quasi 40 kg. Ne esce però vittorioso. Francesco, nove mesi sono una gravidanza, sei nato a nuova vita, a chi e cosa non rinunci del vecchio Francesco ed a cosa presti attenzione oggi?

FM: << Sono un’eternità, soprattutto trascorsi in condizioni cliniche drammatiche. Non avrei mai immaginato un calvario del genere. Non voglio rinunciare a nulla del vecchio Francesco. Ho un figlio, una moglie ed una famiglia che si confermano il pilastro della mia vita. Oggi sicuramente sono più forte, presto molta più attenzione alle cose belle; le voglio godere in pieno. Le cose brutte mi fanno meno paura; ho sfiorato la morte, ho superato la bufera di complicanze su complicanze. Oggi sono in piedi e non in un letto. Posso affrontare i problemi quotidiani con maggiore serenità perché sono nulla rispetto alla malattia. Ho una corazza>>

Sicuramente hai vissuto momenti bui. La tua ancora di salvezza in quei momenti? Il tuo desiderio ricorrente?

FM: << Tanti momenti bui. Il pensiero di mollare e smettere di soffrire credo sia normale. Ci ho pensato diverse volte. Dolore, dimagrimento, la mancanza delle forze, un corpo scheletrico che avevo difficoltà a percepire come mio, i sanguinamenti, le infezioni con febbre debilitante, ma mio figlio mi aspettava, mia moglie mi spronava a vedere la luce in fondo al tunnel. Quella è l’unica ancora di salvezza. In quei momenti non pensi al tuo stato sociale, non pensi a lavoro o ai mille impegni che avevi, pensi a tornare a casa, anche acciaccato, ma è lì che vuoi tornare, nel porto sicuro. Dovevo lottare. Se fossi stato solo, avrei mollato>>

Giustamente parli di famiglia. In nove mesi credo che medici, infermieri ed oss di Villa dei Fiori siano diventati una seconda famiglia.

FM:<< Sì. Loro sono entrati a far parte della mia vita e credo che, con la semplicità e la mia voglia di lottare, anch’io sono entrato nella loro. Con alcuni conservo un rapporto speciale. Ci sentiamo, mi mancano se non li sento ed avverto la necessità di tornare saltuariamente a trovarli in clinica. Una clinica che ri-vivo come una seconda casa. Ho imparato tanto dei loro caratteri. Siamo propensi ad immaginarli come robot ma sono umani, con tutti i pregi ed i difetti; è questo che mi faceva avvertire la loro partecipazione al mio dolore. Ho conosciuto aspetti del loro carattere che il paziente “normale” che resta ricoverato due giorni non può certo immaginare. Nei momenti bui, in cui si cercava una soluzione, li avvertivo sinceramente dispiaciuti del fatto che le cose non stessero andando per il verso giusto. Avvertivo la loro determinazione, l’attenzione nel procurarsi materiale adeguato e sapevo anche di qualche loro notte insonne passata a confrontarsi con altri centri chirurgici. Ero informato di tutto. Mai abbandonato a me stesso. Massima attenzione nei miei riguardi, dal primario a chi veniva a pulire la camera.
Vivevo steso in un letto, conoscevo gli orari e le abitudini degli inquilini del palazzo difronte alla finestra della mia stanza; pur non muovendomi, erano loro a portare la vita quotidiana nella mia stanza. Sapevo di compleanni, matrimoni, di qualche viaggio ma anche di congressi, insomma ero uno di loro>>

Hai parlato di altri centri chirurgici. Hai mai pensato di lasciare Villa dei Fiori ed andare in qualche struttura del centro-nord?

FM: <<Certo. Credo sia normale anche fare questo tipo di pensiero. Qualche parente ti mette la pulce nell’orecchio ma tu paziente sei l’unico a poter avvertire certe cose. Da fuori non possono sapere. Ero convinto che mi avrebbero salvato. Li vedevo attenti. Se pensavo di andare via, mi bastava vedere uno di loro che mi veniva a medicare e quel pensiero svaniva. Sapevo che per loro ero una priorità e che volevano salvarmi>>

Un esempio di buona sanità nonostante le tante difficoltà e le complicanze che fanno comunque parte di qualsiasi branca chirurgica. Francesco ha più volte posto l’attenzione sull’umanità che il personale sanitario dimostrava. La professionalità è importante ma per un paziente, costretto in un letto tanti mesi, avvertire che il suo dolore è anche dei sanitari, è la roccia su cui si fonda la fiducia paziente-medico. Il “compatire” cioè “soffrire-con” dei greci.
Mentre ci raccontava la sua storia, Francesco sorrideva nel ripensare a quando i medici gli hanno organizzato il taglio capelli e barba; in epoca ancora covid hanno provveduto ad allestire una saletta a ridosso del reparto contattando loro stessi un barbiere disponibile ad effettuare taglio e tampone”.