Casapesenna. Il Tribunale di Roma – giudice Ettore Favara – ha accolto il ricorso presentato dai familiari di Pasquale Pagano, ucciso per errore nel 1992 a Casapesenna dal clan dei Casalesi e riconosciuto vittima innocente della criminalità organizzata da una sentenza del 2015 (passata in giudicato nel 2018), riconoscendo loro il diritto all’elargizione in danaro prevista dalla legge 302 del 1990.
Il Ministero dell’Interno – che ha già fatto appello contro la sentenza – si è sempre rifiutato di liquidare la somma, rigettando l’istanza presentata in passato dalla moglie e dalle due figlie della vittima, Rossana e Romilda; in particolare il Viminale ha invocato le norme che vietano l’elargizione quando la vittima e i beneficiari non siano del tutto estranei ad ambienti e rapporti delinquenziali, o risultino – nel caso solo dei beneficiari – “coniuge, convivente, affine, parente entro il quarto grado” di soggetti gravati da reati di camorra. Ebbene, nel caso di Pagano, la norma sulla non estraneità ad ambienti delinquenziali veniva applicata perché il fratello della vittima aveva commesso reati legati alla tossicodipendenza, non di camorra come prescrive il legislatore; inoltre il Ministero ha sempre indicato parenti dei familiari che però hanno un grado superiore al quarto, facendo da ciò discendere la non estraneità ad ambienti delinquenziali. Per il giudice capitolino non ricorrono le condizioni ostative indicate dalla legge.
“In effetti la parentela – scrive il magistrato – non essendo il frutto di una scelta libera del soggetto, non può comportare, al di fuori delle ipotesi tassative previste dal legislatore, alcuna conseguenza negativa per il soggetto neppure in termini di presunzione. E ciò anche in considerazione dell’estrema difficoltà, per l’interessato, di ribaltare una simile presunzione, fornendo la prova negativa dell’inesistenza di rapporti anche criminali con i propri parenti e affini. Molto più ragionevole, pertanto, che tale onere sia addossato al Ministero, il quale, attraverso i propri rilevanti mezzi di informazione – ad esempio mediante informative di polizia – ben può accertare l’esistenza in concreto di frequentazioni e rapporti criminali o l’inserimento in ambienti malavitosi, e non limitarsi – come avvenuto nel caso in esame – a riportare le risultanze del casellario giudiziario e dello stato di famiglia delle ricorrenti”.
Per Gianni Zara, legale dei familiari di Pagano, “se non si tutela la memoria delle vittime innocenti delle mafie, viene meno anche uno dei pilastri della giustizia e si rischia inoltre, di usare armi fin troppo spuntate contro la criminalità organizzata. Un errore che il Ministero dell’Interno non può permettersi”.