Portico. La data chiave è quella del 9 maggio. Quel giorno Antonio Bifone, ex capo del gruppo portichese alleato dei Belforte, ora pentito, sarà chiamato a testimoniare nel processo che vede imputato il fratello Nicola e altri nomi eccellenti, come l’avvocato aversano Giuseppe Stabile e l’ex assessore Pietro Vaiano.
A portare “Zuzù” in aula è stato il pubblico ministero della Dda di Napoli Luigi Landolfi che nell’inchiesta di ieri ha chiesto di poter ascoltare l’ex boss. Tra i punti chiave della testimonianza potrebbero quelli relativi all’affare dell’area Pip, già evidenziato nei primi interrogatori dopo il pentimento e che in questo processo tocca da vicino, oltre a Pietro Vaiano anche Antonio D’amico.
L’indagine partì nel 2015, proprio a seguito delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra i quali il capo dell’omonimo clan Bifone Antonio, la moglie Di Caprio Giuseppina, Buttone Bruno, Froncillo Michele ed Amato Antonio. Grazie a uno storico accordo con i Belforte per anni i Bifone hanno dettato legge nel territorio tra Portico e Macerata, riuscendo a garantirsi il controllo delle attività economiche, anche attraverso la gestione monopolistica di interi settori imprenditoriali e commerciali; il rilascio di concessioni e di autorizzazioni amministrative; l’acquisizione di appalti e servizi pubblici; il condizionamento delle attività delle amministrazioni pubbliche, locali e centrali; il reinvestimento speculativo in attività imprenditoriali, immobiliari, finanziarie e commerciali degli ingenti capitali derivanti dalle attività delittuose, sistematicamente esercitate (estorsioni in danno di imprese affidatarie di pubblici e privati appalti e di esercenti attività commerciali, traffico di sostanze stupefacenti, usura ed altro); assicurare impunità agli affiliati attraverso il controllo, realizzato anche con la corruzione, di organismi istituzionali; il conseguimento, infine, per sé e per gli altri affiliati di profitti e vantaggi ingiusti.
L’azione di contrasto al sodalizio, le molteplici sentenze di condanna intervenute negli anni e la collaborazione di alcuni elementi di spicco del clan, hanno consentito all’Autorità Giudiziaria di riaprire le indagini, durante le quali si è proceduto alla certosina disamina di documentazione collegandola alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.