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Colpo di spugna sul clan Amato, cancellate 16 condanne. NOMI E FOTO

SANTA MARIA CAPUA VETERE. Un colpo di spugna in piena regola. La Corte di Cassazione accoglie i ricorsi presentati dai legali e cancella 16 condanne per altrettanti imputati già processati in secondo grado.

Si torna in dunque in Appello dove già era state inflitte condanne di 24 anni per Fatos Habraijimi; 10 anni e mezzo a Stefano Cecere; 10 anni e 10 mesi per Giovanbattista Di Monaco; 10 anni a Francesco Di Monaco; 9 anni e mezzo per Servi Morkrenciuk; 10 anni per Pasquale Russo (del 1954); 8 anni per Simmaco Maio; 2 anni per Franco Iorio; un anno e mezzo per Angela Buonpane; 1 anno e 4 mesi per Roberta Nocera; 1 anno e 10 mesi per Gabriele Consolazio; 1 anno e 4 mesi per Anna Cipullo; 1 anno e 4 mesi per Ernesto Russo; un anno e mezzo per Vincenzo Troise; 1 anno e 4 mesi per Pasquale Petrullo; 1 anno e 4 mesi per Domenico Petrullo; 25 anni per Antolij Podivinskyy 25 anni.

I reati contestati

Le accuse sono quelle a vario titolo di estorsioni, usura, armi, illecita concorrenza, violenza privata, danneggiamento, ricettazione e droga, in alcune circostanze aggravate dalla finalità mafiosa per il clan Amato di Santa Maria Capua Vetere. Per le condanne sotto i due anni di reclusione, molte delle quali confermate rispetto al primo grado, la pena è da considerarsi sospesa. Nel collegio difensivo gli avvocati Rosario Avenia, Angelo Raucci, Nello Sgambato e Luca Viggiano.

Blitz scattò a marzo del 2013

L’attività di indagine dei carabinieri, avviata nel 2010, dopo l’arresto del capo clan SalvatoreAmato, cl. ’56 e di alcuni associati facente parte del vertice del gruppo criminale, ha rilevato come, i restanti associati hanno continuato a commettere gli stessi reati. Nonostante il clan, a seguito degli arresti da parte dei carabinieri, fosse stato smantellato, le unità restanti del gruppo hanno continuato a tenere alta la tensione criminale al fine di consolidare l’egemonia del clan Amato sul territorio.

Due gli episodi più significativi contenuti nell’ordinanza eseguita all’epoca dai militari della locale Compagnia: l’esplosione ai danni di un’attività commerciale il cui proprietario intratteneva una relazione sentimentale con la vedova di un appartenente al clan morto per overdose e i colpi d’arma da fuoco esplosi contro un negozio il cui proprietario era colpevole di non aver voluto esporre uno striscione raffigurante l’effige della madre defunta di un esponente del clan, durante una competizione sportiva organizzata dallo stesso.