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“Grillo in carcere per 30 anni”: mazzata definitiva per l’imprenditore. Nei guai pure pentito

Marcianise (an.te.). La mazzata definitiva per Angelo Grillo. L’anno nel quale l’imprenditore aveva provato ad aprirsi uno spiraglio, cominciando un percorso collaborativo con la Dda, si chiude con un verdetto schiacciante. Senza appello. E’ diventata infatti definitiva la condanna a 30 anni di reclusione nei confronti dell’ex consigliere comunale di Marcianise per l’omicidio di Angelo Cortese, detto “Marlon Brando”, avvenuto a Montedecoro nel 2006.

 

Gli altri nomi eccellenti coinvolti

Per lo stesso delitto sono stati già stati condannati in via definitiva a 20 anni Felice Napolitano e a 16 il pentito Bruno Buttone, che con Grillo aveva presentato ricorso contro la sentenza di secondo grado. Non ha presentato invece ricorso l’altro condannato, il pentito Domenico Cuccaro, mentre resta l’assoluzione per l’unico rivale a processo (anche se solo per le estorsioni), cioè Andrea Letizia.

Il verdetto della Corte di Appello aveva già modificato la pena per Grillo che in primo grado si era beccato l’ergastolo con isolamento diurno per sei mesi. L’ex re delle pulizie, nel corso del procedimento, era stato chiamato in causa da tre pentiti coinvolti direttamente nella vicenda, cioè i già citati Buttone e Cuccaro e Salvatore Belforte, oltre a quelli che hanno saputo indirettamente dell’omicidio, cioè Farina, Aveta, Froncillo e Martino.

 

L’incontro mancato e l’ordine

Secondo quanto emerso dall’indagine della Dda, “Marlon Brando” venne ammazzato proprio per aver chiesto il pizzo all’imprenditore: Cortese nell’estate 2006 si era presentato presso gli uffici della Cesap ed aveva chiesto a Giuseppe Grillo, figlio di Angelo, una tangente da 10mila euro oltre all’assunzione di tre persone, minacciando di dar fuoco alla sede della ditta.

 

Grillo si era rivolto così ai vertici del clan Belforte affichè gli fosse “risolto il problema” consentendo agli affiliati di appostarsi nella ditta.  Entrambi i ricorsi presentati in autunno sono stati respinti dalla prima sezione della Corte di Cassazione: quello di Buttone perchè ritenuto inammissibile, quello di Grillo perchè infondato. La difesa dell’imprenditore (detenuto ininterrottamente dal novembre 2013) aveva fatto leva sul fatto che Grillo avesse partecipato solo alla prima fase del piano, non avendo alcun ruolo nell’omicidio. Inoltre era stato sottolineato come non era provato che Grillo si fosse rifiutato di vedere lo stesso Cortese. Le motivazioni sono state rese note in questi giorni.