Skip to main content

La minaccia per il Rolex: “o napulitan si è fatto 25 anni dentro…”

 

Pignataro Maggiore. Un linguaggio diretto, minaccioso, carico di riferimenti all’appartenenza criminale e alla “fama” costruita negli anni. È soprattutto una frase, intercettata e messa nero su bianco nel decreto di fermo della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, a sintetizzare il clima che avrebbe accompagnato le presunte pressioni estorsive contestate agli indagati: «’o napulitan… è uno che si è fatto venticinque anni di galera». Parole che, secondo gli inquirenti, non sarebbero state casuali, ma funzionali a incutere timore e a rafforzare il peso della richiesta.

Il provvedimento riguarda Giovanni Di Gaetano, detto Giannino ’o napulitan, insieme a Graziano Insidioso, Lorenzo Lubrano, Pasquale Veltre, Luigi Messuri e Michele Del Core. Tutti sono accusati, a vario titolo, di estorsione aggravata dal metodo mafioso e di aver agito per agevolare il sodalizio criminale denominato Ligato–Lubrano.

Al centro dell’inchiesta vi sarebbe una vicenda legata a un’attività commerciale di gioielleria. Secondo quanto ricostruito, gli indagati avrebbero avanzato richieste economiche e preteso la consegna di preziosi – tra cui un orologio Rolex in oro – utilizzando un linguaggio allusivo e intimidatorio, richiamando precedenti penali, carcerazioni e legami con ambienti camorristici. In più occasioni, stando agli atti, le visite presso l’esercizio commerciale sarebbero state ripetute e accompagnate da frasi dal chiaro contenuto minaccioso.

Particolarmente rilevante, per la Procura, il riferimento a Giovanni Di Gaetano, descritto come soggetto noto e temuto. La frase su ’o napulitan, riportata testualmente nel decreto, viene letta dagli investigatori come un messaggio preciso: sottolineare l’esperienza criminale e la disponibilità a ricorrere alla violenza per ottenere quanto richiesto.

Nel quadro investigativo emergono anche i nomi di Lorenzo Lubrano, indicato come figlio di Raffaele Lubrano, e di Graziano Insidioso, ritenuto parte attiva nelle interlocuzioni. Un contesto che, secondo la DDA, avrebbe creato una condizione di soggezione psicologica nella vittima, tale da integrare l’aggravante mafiosa.

Ora sarà il tribunale a valutare la fondatezza delle accuse. Intanto, quelle parole – ’o napulitan – restano il simbolo di un metodo che, secondo l’accusa, punta tutto sul peso del nome e sulla paura.

Un click e sei sempre informato! Iscriviti al nostro canale WhatsApp per ricevere le news più importanti. Premi qui ed entra!