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Stangata al clan del Basso Volturno, mezzo secolo di carcere

Grazzanise/Casal di Principe/Capua. Cinquantasei anni e quattro mesi complessivi di carcere. È questo l’esito pronunciato dal gup Antonino Santoro del Tribunale di Napoli al termine del giudizio abbreviato nei confronti del boss Antonio Mezzero e di altri sette imputati considerati suoi più stretti collaboratori. Le accuse, a vario titolo, riguardano associazione mafiosa, estorsioni, incendi, detenzione di armi e ricettazione.

 

Per il capo del gruppo, Antonio Mezzero, la condanna stabilita è di 14 anni di reclusione. Seguono: 12 anni per Davide Grasso, 8 anni per Michele Mezzero; 5 anni ciascuno per Andri Spahiu, Carlo Bianco e Pietro Di Marta; 4 anni per Pietro Zippo; 3 anni e 4 mesi per Pasquale Natale. Tutti dovranno inoltre versare una provvisionale di 3.000 euro oltre al pagamento di 2.350 euro per le parti civili costituite.

 

Le richieste del pm della DDA di Napoli, Vincenzo Ranieri, erano state più severe: 16 anni per Mezzero, 15 per Grasso, 11 per Michele Mezzero, 7 anni e 6 mesi per Natale, 7 per Bianco, 6 per Di Marta e Spahiu, 5 per Zippo.

 

Gli imputati furono coinvolti nell’operazione sviluppata dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta nell’ottobre 2024, al termine di un’indagine avviata tra settembre 2022 e giugno 2023. Un’attività investigativa complessa che, grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti e osservazioni mirate, ha delineato ruoli, dinamiche e reati commessi da soggetti legati alla galassia dei Casalesi, operativi tra Grazzanise, Santa Maria La Fossa, Vitulazio, Capua, San Tammaro, Santa Maria Capua Vetere, Casal di Principe e aree vicine.

 

Uscito dal carcere nel luglio 2022 dopo oltre vent’anni di detenzione, Antonio Mezzero, storico esponente della fazione Schiavone, pur sottoposto prima alla libertà vigilata e poi alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, avrebbe tentato di ricostituire una propria articolazione criminale, riaffermando la presenza sul territorio. Il boss, secondo quanto emerso, avrebbe utilizzato parenti e persone fidate per imporre estorsioni ad imprenditori, oltre a una violenta tentata estorsione nei confronti di una giovane coppia che non voleva lasciare un appartamento in affitto: l’episodio culminò con l’incendio dell’auto delle vittime.

 

Le indagini avrebbero inoltre documentato il tentativo del gruppo di inserirsi nella gestione di attività commerciali per reinvestire denaro illecito, nonché la richiesta di una presunta tangente su una compravendita di un capannone del valore superiore al milione di euro. Accertato anche un circuito di ricettazione di mezzi d’opera e materiale da cantiere: diversi autocarri e mezzi agricoli, per un valore complessivo stimato in 40mila euro, sono stati recuperati e restituiti ai proprietari. È stata inoltre verificata la disponibilità di armi riconducibili al sodalizio.

 

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