
CASAPESENNA. La lunga fuga di Michele Zagaria non è soltanto un capitolo chiuso della storia criminale, ma una vicenda che continua a proiettare la propria ombra sul presente. Anche dopo il suo arresto nel 2011, restano ancora irrisolti i nodi che permisero al capo dei Casalesi di sfuggire alla cattura per oltre sedici anni, muovendosi tra complicità, sostegni esterni e una rete di protezione che, secondo gli investigatori, non si è mai dissolta del tutto.
È in questo contesto che si inserisce la collaborazione giudiziaria di Nicola Inquieto, imprenditore condannato e oggi testimone chiave per la Direzione Distrettuale Antimafia. Le sue prime dichiarazioni, rese alla fine di novembre e consegnate al processo d’Appello “Jambo”, non solo gettano luce su episodi già noti, ma inducono a riconsiderare molti aspetti rimasti finora ai margini delle inchieste. Inquieto, grazie ai rapporti diretti con Zagaria e a una gestione finanziaria ramificata tra Italia ed estero, rappresenta per gli inquirenti una fonte in grado di ricostruire ciò che resta dell’ossatura economica della fazione.
Nel merito dei verbali, il collaboratore indica il nome di un imprenditore che – secondo il suo racconto – avrebbe contribuito alla realizzazione di un rifugio sotterraneo in via Po a San Cipriano d’Aversa, covo utilizzato dal boss nei primi anni Duemila. Un imprenditore che, sempre secondo la sua ricostruzione, sarebbe legato a figure già note nelle indagini: da Francesco Zagaria, detto “Ciccio ’a Benzina”, cognato del capoclan e ritenuto collegamento privilegiato con i cosiddetti “colletti bianchi”, fino a Domenico Magliulo, ex consigliere provinciale condannato in primo grado.
Le dichiarazioni di Inquieto toccano anche i lavori di ampliamento del cimitero di Trentola Ducenta, area in cui – a suo dire – sarebbero emerse pressioni interne al clan per controllare appalti e interlocutori. Il collaboratore riferisce di aver chiesto direttamente a Zagaria un intervento per favorire gli interessi del fratello Vincenzo, descritto come figura di fiducia del boss.
Naturalmente, nessuno degli elementi forniti può essere considerato definitivo: la magistratura dovrà verificarli punto per punto. Ma la sensazione, nelle procure antimafia, è che il racconto di Inquieto possa aprire un nuovo fronte d’indagine sul “dopo Zagaria”, su quei soggetti che avrebbero garantito continuità al sistema economico della fazione anche in tempi di silenzio apparente.

