
CASAL DI PRINCIPE. Nel regime del 41bis anche ciò che appare un semplice gesto quotidiano può trasformarsi in un tema complesso, dove si incrociano tutela della sicurezza e diritti minimi del detenuto. È in questo scenario che rientra la vicenda di Francesco Schiavone, noto come Sandokan, storico capo del clan dei Casalesi, che aveva avanzato la richiesta di ascoltare musica tramite un lettore Cd e alcuni dischi personali.
Una domanda che potrebbe sembrare marginale, ma che per lo Stato richiede verifiche rigorose, controlli tecnici e la certezza assoluta che nessun supporto possa diventare un mezzo per trasmettere messaggi all’esterno. Da qui la decisione arrivata dalla Corte di Cassazione, che ha giudicato inammissibile il ricorso presentato dal detenuto contro il provvedimento del Tribunale di sorveglianza dell’Aquila.
I giudici hanno confermato l’orientamento già adottato in altri procedimenti analoghi: dispositivi come Cd e lettori musicali possono essere autorizzati solo se l’analisi del materiale non richiede un impiego di risorse considerate eccessive. Nel caso specifico, il Tribunale aveva accolto l’opposizione del Dap, revocando un via libera iniziale. L’amministrazione penitenziaria aveva spiegato che l’unico modo per garantire la sicurezza sarebbe stato ascoltare completamente ogni singolo disco, un’operazione lunga, costosa e comunque non in grado di eliminare del tutto il rischio di eventuali alterazioni.
La Cassazione ha quindi ribadito che non viene negato il diritto di ascoltare musica, già assicurato tramite altri mezzi disponibili all’interno dell’istituto penitenziario, ma semplicemente esclusa una modalità considerata incompatibile con il regime del 41bis. Gli argomenti proposti da Schiavone, tra cui il riferimento al sigillo Siae come garanzia di integrità, non sono stati ritenuti sufficienti a modificare questa impostazione.
La Suprema Corte ha così confermato il divieto e condannato Schiavone al pagamento delle spese e di 3.000 euro alla Cassa delle ammende, chiudendo una vicenda che riporta l’attenzione sull’equilibrio, sempre delicato, tra sicurezza e diritti residuali dei detenuti sottoposti al carcere duro.

