
CASAL DI PRINCIPE. “Con quella vita ho chiuso, è stato un periodo oscuro che non mi appartiene più. Mi sto impegnando per costruire qualcosa di diverso”. Con queste parole, pronunciate spontaneamente davanti alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere, Francesco Di Maio ha ripercorso la propria figura all’interno della stagione di sangue dei Casalesi. Di Maio, considerato uno degli esecutori del gruppo collegato alla fazione Bidognetti, è imputato insieme ad Alessandro Cirillo, conosciuto come “’o Sergente”, per l’omicidio di Cesare Di Bona, storico commerciante di ceramiche e arredi, 78 anni, raggiunto da undici proiettili il 25 aprile 2005, proprio nel giorno del suo compleanno.
Di Maio ha scelto di non sottoporsi all’esame in aula, limitandosi a dichiarazioni brevi ma nette: “Ho messo un punto. Non ho più nulla a che fare con quelle dinamiche. Voglio cambiare davvero”. La prossima udienza, fissata per la fine di novembre, sarà dedicata alla requisitoria del pubblico ministero Simona Belluccio e agli interventi dei difensori: gli avvocati Carmine D’Aniello, Giuseppe Polito e Maria Teresa Pintus.
Secondo le ricostruzioni della Direzione Distrettuale Antimafia, il delitto sarebbe stato una vendetta indiretta, diretta a colpire il collaboratore di giustizia Luigi Diana, detto “’o Manovale”, all’epoca da poco passato dalla parte dello Stato. Di Bona, incensurato, era legato a Diana come zio acquisito: la moglie del commerciante era infatti sorella del padre del pentito.
La mattina del 25 aprile, poco dopo le 9, Di Bona si accingeva ad aprire l’attività Edilcem, in corso Umberto I a Casal di Principe. Abitava al piano superiore, nella palazzina all’angolo con via Ariosto. Appena varcata la soglia del portoncino verde per alzare le serrande, fu crivellato da undici colpi di pistola calibro 9. I primi ad arrivare furono i due figli, Alfonso e Vincenzo, che cercarono invano di prestare aiuto. Le indagini accertarono che ad agire fu un solo sicario, con un’unica arma.
Per gli inquirenti, la scelta della vittima non fu casuale ma dettata dalla “facilità di esecuzione”: l’imprenditore conduceva una vita regolare, era conosciuto da tutti e non immaginava di essere al centro di una ritorsione destinata a colpire un’altra persona.

