
SAN CIPRIANO D’AVERSA/CASAL DI PRINCIPE. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Giuseppe Diana, conosciuto come ’o Ciuciar, rendendo definitiva la condanna per estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di un imprenditore edile. L’uomo era stato già riconosciuto colpevole dalla Corte d’Appello di Napoli, che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Napoli Nord: nove anni di reclusione per aver partecipato a una richiesta estorsiva nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla Squadra Mobile di Caserta e coordinata dalla Dda di Napoli.
La richiesta di denaro “per gli amici di Casale”
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, nel luglio 2023 Diana, insieme ad Antonio Barbato e Nicola Pezzella (detto Palummiello), avrebbe preteso una somma di denaro da un imprenditore di Quarto impegnato in lavori edilizi in via Giotto, ad Aversa. La vittima sarebbe stata invitata a “mettersi a posto con gli amici di Casale”, con una richiesta iniziale tra i 15 e i 20mila euro, poi ridotta a 8mila euro.
Il denaro fu consegnato in due tranche a distanza di due settimane. L’imprenditore, dopo aver denunciato l’accaduto, riconobbe i tre uomini come responsabili dell’estorsione.
Dalle indagini emerse che il primo contatto tra i malviventi e la vittima sarebbe avvenuto tramite un imbianchino presente nel cantiere. Alcune discrepanze nelle versioni fornite dai testimoni riguardavano proprio il momento dell’incontro, ma per i giudici tali divergenze non hanno inciso sulla ricostruzione dei fatti.
La Corte ha infatti sottolineato che Diana ebbe un ruolo centrale, poiché fu lui a formulare la richiesta di denaro durante un incontro avvenuto in un bar di Casal di Principe, facendo riferimento esplicito al clan dei Casalesi.
Il verdetto finale
Il ricorso presentato dalla difesa, che contestava l’assenza dell’elemento soggettivo e il presunto travisamento delle prove, è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione, presieduta dalla giudice Giovanna Verga, ha confermato integralmente la condanna a carico di ’o Ciuciar, riconoscendone la recidiva reiterata e continuata.

