
CASAL DI PRINCIPE. Nel processo sulle infiltrazioni del clan dei Casalesi negli appalti delle Ferrovie dello Stato, in corso davanti alla terza sezione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (presidente Giuseppe Meccariello, giudici a latere Raffaele Ferraro e Anna Sofia Sellitto), un maresciallo della Direzione Investigativa Antimafia ha illustrato in aula la struttura e le dinamiche del cosiddetto “Sistema Apicella”.
L’investigatore, ascoltato dal sostituto procuratore della Dda di Napoli Graziella Arlomede, ha spiegato come Dante Apicella – soprannominato “Damigiana” – avesse costruito nel tempo una fitta rete di imprenditori e prestanome, utilizzati per continuare a operare anche dopo essere stato colpito da misure di prevenzione. A suo supporto, il nipote Pietro Apicella, figura chiave nella gestione dei rapporti con enti pubblici e amministrazioni locali.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Apicella avrebbe mantenuto un controllo occulto su diverse società impegnate in commesse pubbliche a Napoli, Afragola, Marigliano, Nocera Inferiore, Pescara, Frosinone e Sant’Anastasia. A San Nicola la Strada, gli accertamenti della Dia e le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, come Luigi D’Ambrosio, hanno confermato il coinvolgimento di alcuni fidati imprenditori vicini ad Apicella, tra cui Antonio Magliulo, Angelo Massaro e Antonio Petrillo. Uno degli appalti in questione, del valore di circa sei milioni di euro, riguardava proprio il Comune sannicolese.
Le indagini hanno inoltre documentato l’uso sistematico di prestanome anche per l’acquisto di immobili: tre villette a schiera a Baia Domizia, nel comune di Cellole, riconducibili ai familiari di Apicella. In alcune intercettazioni ambientali, il nipote Pietro lamentava con la moglie la necessità di intestare i beni a terzi per evitare sequestri.
Il processo proseguirà a novembre con il controesame del maresciallo. Tra gli imputati figurano esponenti e imprenditori legati al clan Schiavone e ad Apicella: Nicola e Vincenzo Schiavone, Nicola Puocci, Francesco Salzillo, Gennaro e Luigi Diana, e molti altri. Le accuse, a vario titolo, riguardano associazione mafiosa, estorsione, autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni.

