
CAPUA. Nel processo sulle presunte infiltrazioni criminali nei lavori pubblici dell’area di Capua, è stato esaminato il memoriale di Francesco Zagaria, noto come Ciccio ’e Brezza. In aula, davanti alla terza sezione penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il consulente tecnico della Direzione Distrettuale Antimafia ha illustrato il metodo seguito per valutare l’autenticità e la cronologia delle annotazioni.
Secondo quanto spiegato dal docente universitario di chimica industriale, esperto nell’analisi degli inchiostri, il manoscritto era composto da quattro pagine con appunti di vario genere. «Ho verificato la compatibilità tra le date riportate e la reale epoca di stesura – ha affermato –. L’inchiostro ha un processo di invecchiamento che varia tra i tre e i cinque anni. Ho eseguito controlli a campione su sezioni come elezioni Capua e slot machine. È possibile che sia stato scritto in più momenti distinti, ma risulta comunque anteriore a settembre 2019. Non è però determinabile con precisione quanto prima».
Il punto contestato riguarda presunti riferimenti successivi al pentimento di Zagaria, avvenuto nel luglio 2019, che comparirebbero nelle sue stesse annotazioni. La prossima udienza è stata fissata per novembre e vedrà la parola passare ai testimoni della difesa.
Alla sbarra ci sono Domenico Pagano, imprenditore di Trentola Ducenta, Domenico Farina di San Prisco, considerato vicino a Ciccio ’e Brezza, e il tecnico Alfredo Maria Cenviti. Le accuse spaziano dall’associazione mafiosa al concorso esterno, fino a turbativa d’asta, corruzione, abuso d’ufficio e riciclaggio.
Questa inchiesta rappresenta una ramificazione del procedimento principale che coinvolse l’ex sindaco di Capua Carmine Antropoli, gli ex assessori Guido Taglialatela, Marco Ricci e lo stesso Francesco Zagaria, oltre agli imprenditori Francesco e Giuseppe Verazzo, al dirigente comunale Francesco Greco, a Luca Diana – indicato come collaboratore di Zagaria – e al banchiere Andrea D’Alessandro.
Gli inquirenti ritengono di aver ricostruito un sistema in cui clan, politici e imprese avrebbero collaborato per spartirsi appalti pubblici, con un meccanismo di scambio: sostegno elettorale in cambio dell’assegnazione dei lavori. Un quadro che, secondo l’accusa, metterebbe in luce l’influenza delle famiglie Zagaria e Schiavone anche sulla vita politica e amministrativa del territorio.

